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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2012 alle ore 07:00.

La propensione tecnica riguarda molte imprese tradizionali. Come la Reda, guidata da Ercole Botto Poala (65 milioni di euro di fatturato, 4,4 milioni di euro di Mol): «La diversificazione verso il tecnico è essenziale, per Biella. Ma contemperare tradizione e novità è una cosa buona. Noi ci stiamo provando con l'abbigliamento sportivo in lana». Oggi si stima che le aziende specializzate in tessile tecnico siano una cinquantina (con circa 1.500 addetti). Il 60% destinato all'abbigliamento. Il 40% per l'edilizia e la salute, l'automotive e l'arredamento.
Una delle prime a fare tessile tecnico estremo, cioè non dedicato all'abbigliamento ma ad altri settori, è stata la Finelvo, a Occhieppo Superiore. Dal 1968 si è specializzata nel floccaggio elettrostatico, una tecnologia che produce filati particolari destinati soprattutto all'automotive.
Una ultra-nicchia: in tutto ci sono due aziende al mondo. Alla Finelvo lavorano 50 persone. Ha ricavi compresi fra gli 8 e i 9 milioni di euro, con un Mol del 12 per cento. Il fatturato è ottenuto per il 45% in Germania e per il 45% fra il Brasile e il Messico. «Mi ricordo ancora il giorno di vent'anni fa ‐ racconta Roberto Rossetti, imprenditore di seconda generazione ‐ in cui il vicepresidente della Bmw è arrivato qui con la sua Serie 7. L'ha parcheggiata nel cortile e ci ha chiesto se eravamo in grado di risolvere il suo problema». Un fornitore tedesco aveva mentito sulle proprie capacità di assorbire la domanda di Bmw. «Noi, ai tedeschi ‐ dice Rossetti ‐ non abbiamo mai mentito. Volevano comprare l'azienda. Mio padre gli disse di no e fece tre miliardi di investimenti sugli impianti. Per 10 anni non abbiamo incassato una lira di utile».
L'Italia è sempre più sub-fornitura de luxe della manifattura tedesca. Una committenza dura, ma corretta. «Non abbiamo tensioni finanziarie ‐ spiega Rossetti ‐ soprattutto perché i tedeschi, a fronte di uno sconto del 4%, ti pagano a 10 giorni dall'emissione della fattura». Dalla Germania, in maniera regolare, affluisce nel tessuto produttivo biellese quella liquidità che, dal mercato nazionale, stenta ad arrivare, per il credit crunch bancario e per i rallentamenti nei pagamenti che caratterizzano i rapporti fra le piccole e le medie imprese, le medie e le grandi. Dunque, dal punto di vista della fisiologia finanziaria, Amburgo e Düsseldorf fanno meglio a Biella di Torino e di Roma. Questi flussi finanziari sono in crescita. Basti pensare che l'export del tessile verso la Germania è stato nel 2011 pari a 197 milioni di euro, un quinto in più rispetto all'anno prima. L'asse tedesco a Biella mostra come siano cambiati gli equilibri interni all'economia italiana.
Se fino agli anni Novanta era la Francia il partner privilegiato, ora il passaggio è a Nord. Sempre meno Milano e Parigi, sempre più Stoccarda e Wolfsburg. I nuovi equilibri geo-economici. La transizione tecnologica. La fine del Novecento. Il secolo dell'Asia. Il racconto dell'economia globale di oggi ha un suo breve ma non irrilevante capitolo, qui a Biella. E, se l'Italia industriale appare segnata da una dinamica selettiva in cui coabitano il rimpicciolimento dei sistemi distrettuali e l'irrobustimento delle singole imprese, il tessile biellese risulta davvero un micro-paradigma del cambiamento in atto nel nostro capitalismo manifatturiero. Fra declino e trasformazione, 'dimagrimento' industriale e miglioramento qualitativo.
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