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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2012 alle ore 17:07.

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Il colosseo visto dall'alto (Corbis)Il colosseo visto dall'alto (Corbis)

Per capire la supremazia di Roma nel campo dei beni culturali è sufficiente dare un'occhiata ai dati relativi ai monumenti statali. Nel 2011 la capitale – i numeri si riferiscono all'intera provincia, ma si può tranquillamente imputarli alla sola Città eterna, vista la marginalità degli altri siti (tranne Villa d'Este e Villa Adriana a Tivoli) – ha aperto le porte del proprio patrimonio a 17,5 milioni di visitatori (ovvero il 39% del totale nazionale), incassando dalla vendita dei biglietti più di 48 milioni di euro, che corrispondono al 43% degli introiti di tutti i musei e le aree archeologiche di competenza statale sparsi in Italia.

Perché il quadro sia completo bisogna poi aggiungere – come riferisce un'indagine di quest'anno condotta da Federculture e dalla Camera di commercio della capitale – che nella provincia di Roma si trovano anche 160 istituti non statali (il 4% del totale italiano), di cui 106 sono gestiti da enti pubblici e 54 dai privati.

Non bisogna poi dimenticare le biblioteche – 11 delle 46 biblioteche statali italiane si trovano nella provincia di Roma e la capitale è sede di una delle due biblioteche nazionali (l'altra è a Firenze) – e gli archivi.

Grandi potenzialità che non vengono pienamente messe a frutto. Problema che è stato dibattuto nei recenti Stati generali della cultura organizzati a Roma alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Questione che non è solo romana, ma nazionale. «Non si vuole capire – sottolinea Patrizia Asproni, presidente di Confcultura, l'associazione delle imprese che gestiscono i servizi per la valorizzazione, fruizione e promozione del patrimonio culturale – che il turismo culturale è anticiclico: in tempi di crisi, è l'asset su cui puntare. E invece la cultura continua a non far parte dell'agenda del Governo. Di questo come di quelli precedenti. Le imprese sono stanche di sentir parlare di "potenziale", visto che non trova mai espressione».

Ad attendere da anni che lo slogan "cultura come motore di sviluppo" si traduca in realtà è un intero sistema dove, accanto alle aziende che lavorano nel settore culturale in senso stretto, ci sono anche quelle del design, dell'artigianato, del cinema, dei videogiochi, della musica, dell'architettura, della comunicazione. E anche in quest'industria culturale allargata, la capitale è ai primi posti. Come conferma il rapporto 2012 della fondazione Symbola, messo a punto con Unioncamere, che nel 2011 ha assegnato al sistema produttivo culturale un valore di circa 76 miliardi di euro (ovvero, il 5,4% dell'economia), di cui 9,5 riferibili alla provincia di Roma.

Nel dettaglio: 1,3 miliardi provengono dal settore dell'architettura, 342 milioni dalla comunicazione e dal branding, 173 milioni dal design e dalla produzione di stile, 288 milioni dall'artigianato, 2,7 miliardi dal cinema e radio-Tv, 2,2 miliardi da videogiochi e software, 35 milioni dalla musica, 1,3 miliardi dai libri, 195 milioni dai musei e 626 da spettacoli, convegni e fiere. Importi che rappresentano il 7,6% dell'interno valore aggiunto economico prodotto nella provincia.

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