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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2013 alle ore 06:42.

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Manaus, Brasile. La città nel cuore dell'Amazzonia, oggi, grazie al regime di zona franca, è una delle capitali mondiali delle due ruote, con 600 imprese (tra cui Honda, Suzuki, Kawasaki) che fatturano 200 miliardi di euro l'anno.

Che cosa c'entra con l'innovazione tecnologica italiana? C'entra. Perché alcune di quelle imprese hanno visitato il Parco Tecnologico di Navacchio, e ora si lavora a possibili partnership. Con ricadute anche per l'Italia. A spiegarlo è Alessandro Giari, presidente dell'Associazione parchi scientifici e tecnologici italiani (Apsti) e direttore del Polo pisano. «Le nostre Pmi possono lavorare alla creazione di piattaforme tecnologiche e servizi hi-tech nell'area di Manaus al servizio delle multinazionali insediate». Il percorso era stato aperto dall'Agenzia per l'innovazione. «Ma – chiarisce Giari – queste opportunità non possono essere gestite a livello territoriale: occorrono azioni di sistema più vaste. Da soli non si va più da nessuna parte».

Sviluppare sinergie e coordinarsi per non disperdere know-how e innovazione sarà fondamentale per la competitività del Paese. Una sfida complessa come dicono i numeri aggiornati dall'Apsti, che raggruppa circa l'80% delle realtà italiane: oltre un miliardo di fatturato aggregato (+15% rispetto al 2009, ma nel 2008 era di 1,2 miliardi), realizzato da 776 imprese (quasi 11mila addetti) insediate in una trentina di parchi. Tra questi, alcuni casi d'eccellenza come il Bioindustry Park del Canavese, il Vega di Venezia, il Kilometro Rosso di Bergamo, le tecnologie agroalimentari di Lodi, l'Area Science Park di Trieste, Trentino innovazione, Navacchio, Aster (i tecnopoli dell'Emilia Romagna), Campania innovazione. Ma restano fuori da questo perimetro gli incubatori universitari. Nel 2012 su 276 candidature sono state incubate 66 start up, per un totale di 214 realtà che hanno raccolto capitali di rischio per 45 milioni.

Un universo che da oggi il Sole 24 Ore indaga con una serie di inchieste che mirano a porre in evidenza punti di forza e debolezze di questo ambito cruciale per il futuro. «I settori – ricorda Mario Calderini, consigliere del ministro dell'Istruzione, università e ricerca per le politiche su ricerca e innovazione – più incisivi vanno dalla meccatronica all'Ict, dall'agroalimentare alle energie rinnovabili, con una presenza importante di imprese incubate nell'ambito di Ict, chimica, ambiente e scienze della vita. Le dimensioni non sono tuttavia paragonabili a quelle dei parchi di altri Paesi». A Pechino, dov'è stato aperto un altro canale a doppio flusso per favorire la creazione di Pmi italiane sul posto e quella di imprese cinesi in Italia, sono insediate 15mila aziende.

L'Apsti prova ad ampliare perimetro – prossimo il coinvolgimento di Novara Sviluppo e del sistema ligure – con il mondo universitario e con Italia Startup (che raggruppa incubatori e acceleratori d'impresa come H-Farm, Nanabianca). Ma le criticità da superare non sono solo dimensionali. «L'aspetto normativo – dice Alessandro Giari – va reso più efficiente e funzionale per un confronto competitivo sui mercati. E c'è un problema di risorse, sempre scarse: i venture capital hanno criteri selettivi, giusti, ma che rischiano di escludere realtà strategiche a livello territoriale. Non si può lasciare tutta l'iniziativa al mercato. D'altro canto, il sistema di fondi parapubblici ha spesso tempi di istruttoria e livelli di garanzie che mal si adattano alle esigenze del settore». Come per l'industria in generale, anche ricerca e innovazione sono costrette a cercare sempre più oltreconfine realistiche prospettive di sopravvivenza e sviluppo. «Servono strategie più elaborate per diversificare i prodotti e avere maggiore incisività su alcuni mercati. E puntare su imprese in grado di generare valore per il territorio».

Spiega Edoardo Imperiale, direttore generale di Campania Innovazione e coordinatore della commissione internazionalizzazione Apsti. Le rotte del futuro, secondo Imperiale, affiancheranno ai Bric (Brasile, Russia, India e Cina) « i new eleven, ovvero gli undici Paesi dalle economie a maggior tasso di crescita, tra cui Messico, Nigeria, Egitto, Turchia». I campi su cui puntare? «Il biotech per quanto riguarda l'area Med e l'Ict in Bangladesh. Oppure la messa in sicurezza e tutela dei beni culturali in Cina».

A ottobre una missione a Tel Aviv in sinergia con Ice, Presidenza del Consiglio e Mise (e il supporto di Apsti e Bic) ha facilitato l'incontro tra start up dei due Paesi. «In Israele il funzionamento della rete virtuosa tra start-up e mercato è già una realtà da diversi anni».

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