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Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2013 alle ore 14:14.

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Un report redatto nel novembre scorso dal Politecnico di Milano azzarda addirittura un possibile dimezzamento della bolletta energetica dell'industria al 2020, sull'onda di una combinazione tra normative e incentivi economicamente più che sostenibili (nulla a che fare con il salasso creato negli ultimi anni dal fotovoltaico) che potrebbe tagliare il fabbisogno della sola elettricità delle imprese di 64 terawattora l'anno. Per fare qualche esempio analitico prendiamo appunto i due settori dell'edilizia e dell'auto elettrica.
La stabilizzazione degli incentivi del 55% per interventi sull'efficienza energetica degli edifici, lo strumento che ha dimostrato di garantire un buon ritorno sia tecnico che economico, è una richiesta praticamente unanime. Ma le istituzioni non sono ancora in grado di dare certezze a lungo termine.

E che dire della proposta di assoluto buonsenso e di facilissima applicazione appena formulata dall'Enea nel suo ultimo rapporto sull'efficienza energetica? Eccola: al groviglio di tasse che pesano sugli immobili, e che dovranno comunque essere definite, si potrebbero incorporare e modulare tutti gli incentivi all'efficienza, sia quella già realizzata negli ultimi anni sia quella da cumulare agli interventi già effettuati. Fino a legare direttamente le future rendite catastali (peraltro in corso di revisione) «al miglioramento delle prestazioni energetiche dell'edificio». Con «un effetto di forte stimolo per il settore», che come ben sappiamo è in crisi profonda.

Sull'auto elettrica ecco gli incentivi all'acquisto appena varati. Ma basta scorrere i modelli sul mercato per verificare l'imbarazzante assenza del made in Italy. Sulla creazione di una filera industriale nazionale pesano preziose occasioni buttate al vento. C'era, sostenuta anche qui da ampio consenso politico (a parole), l'idea di fare dello stabilimento siciliano dismesso dalla Fiat a Termini Imerese un polo consortile della mobilità elettrica, in sinergia con la ricerca sul fotovoltaico, magari anche qui con produzione annessa. Un'idea, e basta.

Auto elettrica ancora immatura? Ferve il dibattito. Ma in una prospettiva neanche troppo lunga la sfida potrà e dovrà essere vincente. Già oggi, con uno sviluppo delle stazioni di ricarica e delle economie di scala nei mezzi a quattro e a due ruote (oggi oggettivamente stracari) la maggiore efficienza energetica complessiva del mezzo elettrico ne fa traguardare la competitività assoluta. Lo testimoniano, tra gli altri, un recentissimo studio dell'Università della California e un report di Boston Consulting Group.

Guai – ammoniscono i ricercatori americani – a cadere nel mito dei biocarburanti nell'illusione di rivitalizzare il futuro del motore a scoppio: i motori elettrici hanno rendimenti superiori al 90%, mentre biocarburanti che finiscono nei motori a scoppio si disperdono per tre quarti in calore di scarto. E poi, fattore ancora più indicativo, i biocombustibili richiedono fino a 200 volte più terreno per produrre energia rispetto agli stessi kilowatt generati dal fotovoltaico. E le stesse proporzioni valgono anche per le emissioni di CO2.

I costi della componentistica necessaria all'auto elettrica? Prevede Boston Consulting che le batterie, il componente più oneroso anche a causa della vita operativa relativamente breve, da qui al 2020 godranno di un crollo dei costi vicino al 70%, raggiungendo la soglia di assoluta competitività di 400 dollari per kilowattora di capacità. A quel punto non ci sarà storia, almeno per la mobilità urbana. Non fare di tutto per attrezzarsi per tempo sarebbe, per il nostro paese, una scelta davvero sciagurata.

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