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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2013 alle ore 06:41.

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«Qui ci sono enormi potenzialità ma rischiamo di farcele sfuggire, perché manca la ricerca diffusa, non si investe ed è da due generazioni che non si assumono più giovani tecnici. Tra un po' non ci saranno più competenze nel petrolchimico da travasare all'esterno». È lucida l'analisi di Sergio Foschi, che ha fatto del suo lungo curriculum all'interno del poligono delle poliolefine il punto di partenza di un'avventura imprenditoriale dedicata alle giovani leve.

La sua Cti (Chemical tecnologies international) è uno dei rari casi di spin-off germogliati a Ferrara all'ombra del petrolchimico. Una piccola Srl che si occupa di ricerca, sviluppo tecnologico e ingegnerizzazione dei processi industriali nel settore chimico e ha come principale cliente e alleato la Cina (il 51% del capitale è di un industriale della Manciuria, il resto di Foschi e due soci). «In neppure due anni di attività – prosegue Foschi – io e il team di anziani manager, dai 60 agli 83 anni del consulente più vecchio (per età, non per entusiasmo) abbiamo cresciuto 40 giovani laureati, trasferendo know-how e competenze. Ora li stiamo spingendo a creare a loro volta spin-off in partnership con stranieri che possano finanziare l'attività. Ma siamo l'eccezione che conferma la regola in una terra priva di spirito imprenditoriale».
Qualche media impresa italiana è arrivata da fuori, per fare shopping, come la forlivese Softer che ha salvato la Nyclo (resine poliestere) o la romagnola General Cavi che ha rilevato l'impianto compound ex Ineos. Per il resto, la crisi della chimica in Europa (-2%) e la maggior convenienza dello shale gas americano come materia prima ha fatto venire meno quel «rapporto proficuo di scambio tra centro Natta, università e studenti che rendevano fertile il territorio, anche se di fatto non si sono poi mai tradotti in un indotto economico legato all'innovazione, bensì solo alla manutenzione e ai servizi», commenta il direttore di Unindustria Ferrara, Roberto Bonora.

C'è chi ipotizza che l'indole modenese avrebbe portato a ben altri risultati attorno a impianti all'avanguardia e a investimenti che, seppur a singhiozzo, continuano ad arrivare. Ultimo, quello di Eni Versalis che nel petrolchimico estense produce polietilene a bassa densità e gomme sintetiche, con una trentina di ricercatori dedicati agli elastomeri. «Si tratta di un nuovo impianto produttivo di gomme, un investimento da 150 milioni di euro – precisa Paolo Schiavina, ad di Ifm, la società di facility management che gestisce il petrolchimico, tra bonifiche, sicurezza, ingegneria, presidio sanitario – anche se sono convinto che il futuro, qui, non sarà dei grandi colossi ma di Pmi che sfruttano competenze e ricerca». La stessa LyondellBasell, per contro, ha acquistato l'anno scorso tutti i 6 ettari abbandonati da Estelux, «e ciò conferma che non se ne andranno», nota Schiavina.
«Siamo pronti al dialogo – avverte Patrizio Bianchi, assessore regionale alla Ricerca – e in quanto terminale della Ue, quando si parla di fondi Fesr e Fse, siamo pronti a fare la nostra parte, anche nella chimica, su formazione delle risorse umane e fondi alla ricerca».

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