Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 02 aprile 2013 alle ore 08:03.
L'ultima modifica è del 02 aprile 2013 alle ore 08:13.

My24

«Senza la nostra caratura tecnologica, i tedeschi non ci avrebbero preso in considerazione». Enzo Pacella, ad di Italdesign, sintetizza così la tradizione dell'azienda fondata da Giorgetto Giugiaro nella progettazione e nella prototipazione a tre dimensioni. Dunque Volkswagen, che oggi è proprietaria di uno dei marchi storici del design italiano e torinese, non si è soltanto innamorata dell'estetica. È stata anche attratta dalla componente innovativa nei processi industriali.

Fin dagli anni Ottanta, Giugiaro è stato uno dei primi car designer a utilizzare il 3 D, una tecnologia che consente rapidità e abbattimento dei costi rispetto ai processi materiali. Ancora oggi, ogni anno, Italdesign investe in media tre milioni di euro sull'informatica. «Questo allora ci rendeva una eccezione rispetto ai concorrenti - riflette Pacella - oggi ci rende perfettamente integrati in un gruppo che investe moltissimo in tecnologia». I tedeschi di Volkswagen. Gli americani di General Motors. Gli italo-americani (o americano-italiani, a seconda dei punti di vista) di Fiat-Chrysler (o Chrysler-Fiat). Il cluster torinese, dal punto di vista dell'attività industriale e della coagulazione dei fenomeni innovativi, è oggi un sistema aperto. Dunque, gli spillover tendono a dispiegarsi sul medio o lungo raggio. Non sono più soltanto localizzati all'interno di una ristretta cinta daziaria coincidente con il vecchio concetto di prossimità geografica. Succede, così, che la Olsa (140 milioni di euro di fatturato con i componenti di illuminazione, 1.200 addetti e stabilimenti in Polonia, Cina, Messico e Brasile) fatturi il 20% con la Bmw e il 20% con Volkswagen, due punti in più rispetto a quanto fatto con il gruppo Fiat. E, dunque, che i transfert tecnologici in entrata e in uscita dall'azienda, "intermediati" da una R&S pari al 9% dei ricavi, siano particolarmente marcati dal rapporto con la committenza tedesca. «Nell'automotive - osserva il presidente dell'Olsa Alberto Peyrani - l'innovazione è standardizzata. Di certo, l'internazionalizzazione del sistema locale torinese è un fenomeno positivo. Anche se, su un tema complesso come l'innovazione, fa premio il tipo di progetto in cui sei impegnato piuttosto che il Paese della committenza.

È importante sviluppare prodotti di alto livello. Non importa che la controparte sia Porsche o Maserati» Anche se, per il delicato tema del rapporto fra sistema nazionale e mercati globali, esiste una incognita di fondo. «Sì, è vero che gli spillover tendono a essere a lungo raggio e che la fornitura torinese non vive più la monocultura Fiat - dice Mauro Ferrari, vicepresidente della Webasto Italia e soprattutto presidente di Anfia Componenti - ma è altrettanto vero che molte multinazionali della componentistica insediatisi in Italia non possono prescindere dal rapporto con il produttore nazionale. E che, oggi, una produzione limitata a 400mila vetture all'anno, come è stato nel 2012, potrebbe costringere molte di esse a rivedere i loro piani italiani». Fiat e non Fiat. Ma, sempre, Fiat.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi

301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.