Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2013 alle ore 11:44.

Verona, Vinitaly, pochi giorni fa. Wine Spectator, la Bibbia per gli amanti del buon vino, in occasione del salone, ha organizzato una degustazione a porte chiuse per 500 buyer di tutto il mondo. Fra i 103 vini selezionati, quattro campani: Feudi di San Gregorio, Galardi, Terredora, Mastroberardino. L'evento è stato ideato per favorire l'incontro dei vini italiani con i nuovi mercati emergenti, come la Cina. Thomas Matthews, executive editor della rivista, si è spinto a dichiarare che la Campania, in compagnia di Alto Adige e Sicilia, è la regione più promettente per il futuro del vino italiano.

Quella del vino è una storia istruttiva per comprendere l'evoluzione delle imprese campane nei mercati internazionali e scorgere le opportunità ancora da cogliere. Fino a pochi anni fa, il vino campano era destinato al taglio; etichette senza glamour, strutture artigianali, organizzazioni commerciali improvvisate. Poi, il salto in avanti. Pochi pionieri in grado di trascinare una nuova generazione di vignaioli evoluti e una combinazione sapiente di "uve" a sostenere le strategie di crescita: la riscoperta degli antichi vitigni, la decisione di investire in innovazione e nel marketing, la volontà di esplorare nuovi mercati.

A dispetto degli scettici, ora le quote di mercato e il volume d'affari all'estero delle aziende vinicole campane trasmettono un bouquet di ottimismo. Chi ha saputo guardare lontano, chi è stato in grado di collegare le radici del territorio con le reti lunghe dell'economia della globalità, ha attenuato i colpi della crisi, compensando la contrazione della domanda interna, e conquistato nuovi mercati.

Certo, una regione di 6 milioni di abitanti non può affidarsi a una bottiglia di Taurasi o di Falerno. Ma nulla accade per caso e la ricetta del vino è da mandare a mente: radicamento locale, risorse uniche o difficilmente imitabili, competenze eccellenti di marketing, alta qualità del prodotto, posizionamento nella fascia alta del consumo, relazioni "intelligenti". La strada dei mercati internazionali, con l'innovazione, è l'unica percorribile per credere ancora in un futuro per la Campania, l'unica a fornire un antidoto alla desertificazione industriale, un freno all'emorragia di capitale intellettuale: la corrente di giovani talenti che la regione "esporta", ahimè, con innegabile successo.

Gli studi empirici di Banca d'Italia, Unicredit, Srm, dimostrano che le imprese esportatrici riescono a mantenere alta la propria redditività, a difendersi dall'erosione dei margini nei tempi di crisi, perfino ad aumentare l'occupazione. L'export rimane la fondamentale leva di sviluppo nelle fasi di difficoltà dell'economia.

E i numeri della Campania non sono confortanti. La regione copre appena il 2,5% delle esportazioni italiane: una piccola fetta che si è ancor più assottigliata negli ultimi dieci anni. Nel 2012, mentre le altre regioni italiane all'estero correvano, lo slancio che fra il 2009 e il 2011 aveva ricondotto la Campania al livello di esportazioni pre-crisi del 2007, si è bruscamente arrestato: un calo dello 0,5% contro il +3,7% dell'Italia e il +7,8% del Mezzogiorno. Perfino le piccole Marche esportano più della Campania, scivolata al decimo posto fra le regioni italiane. Sono meno di 10mila le imprese campane che operano con l'estero registrando in media un volume di appena un 1 milione di euro a testa. Eppure non è impossibile avere successo nei mercati internazionali. La storia di aziende come Adler o Seda o di campioni nascosti come Laminazione Sottile, Getra, Coelmo, Magaldi, Geven illustra bene la capacità di tessere reti di relazioni a distanza pur conservando le radici con i luoghi di origine. Sono nomi poco noti al grande pubblico, ma competono ad armi pari nei mercati senza confine, "coltivando" come giardinieri tenaci nicchie globali con prodotti ad alta differenziazione, disegnati su misura dei propri clienti, con i quali sovente stabiliscono relazioni collaborative per lo sviluppo di progetti innovativi.

Ci sono per esempio gli aerei leggeri di Tecnam, nel cui capitale è da poco entrato il Fondo italiano di investimento proprio per sostenere un processo di crescita internazionale che dovrebbe condurre l'azienda di Capua a conquistare un segmento scoperto nel mercato mondiale dell'aviazione, "volando" con fiducia dalle isole dei Caraibi fino alla Cina. Ci sono i grandi sarti che, attraverso la drammatica selezione naturale operata dalla crisi (si veda Il Sole 24 Ore del 28 novembre 2012), sono riusciti a sopravvivere puntando sul lusso artigianale: gli abiti di Kiton e di Rubinacci, le camicie di Barba, le cravatte di Marinella. Business Week, celebrando l'arte napoletana dell'alta moda, ha dedicato un servizio fotografico ad Attolini che ha aperto a New York, sulla Madison Avenue, e ha in programma l'apertura di showroom a Londra e a Tokio. Ci sono le piccole aziende della filiera agro-alimentare, come l'oleificio Zamparelli, che cavalcando l'onda di Slow Food e adoperando Eataly come canale sfidano, con prodotti che non temono confronti, i palati più esigenti.

È un sentiero impervio. Non è un film per tutti. Le imprese campane che vorranno competere con successo nei mercati internazionali sono chiamate: (1) a crescere di dimensioni, (2) ad acquisire competenze di marketing evolute, (3) a puntare sui mercati emergenti. (1) La dimensione influenza in modo deciso la capacità di andare all'estero così come la capacità di innovare, indispensabile per operare in scenari sempre più selettivi. Da "piccoli" espandersi in mercati lontani, instabili, distanti "psicologicamente" dall'Italia, diventa complesso. (2) Per competere nei mercati internazionali in modo non occasionale occorrono abilità commerciali, conoscenza profonda della cultura, del quadro istituzionale e delle abitudini di consumo, capacità di analisi della domanda. Un dialogo con le università della Campania che da tempo studiano i processi e le strategie internazionali sarebbe di indubbio vantaggio. (3) Le esportazioni campane sono da troppo tempo arenate nei mercati che crescono poco: per fortuna la dipendenza dall'Europa comincia ad allentarsi mentre crescono a passo sostenuto i mercati nordamericani e i Bric. Intanto, il progetto Export Sud - il piano straordinario a sostegno delle imprese del Mezzogiorno lanciato dal "nuovo" Ice da un presidente, Riccardo Monti, che non ha mai strappato le radici dalla sua Napoli - potrebbe essere per molte imprese campane la spinta decisiva per proiettarsi nei mercati internazionali.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi

301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.