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Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2013 alle ore 12:14.

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Ottocentonovantanove miliardi: è questo l'ammontare (stimato da PriceWaterhouseCoopers) della ricchezza degli investitori italiani che detengono patrimoni finanziari dai 500mila euro in su. Dopo una contenuta diminuzione delle masse nel corso del 2011 (-3,4%), la crescita positiva del 2% (20 miliardi) nel 2012 sarebbe, in realtà, il risultato dalle sole performance dei mercati finanziari (circa 35 miliardi), guidate dall'andamento positivo di titoli obbligazionari emergenti e high yield, bilanciate in parte da un flussi netti negativi(per circa 15 miliardi, -2% su base annua) coerente con un decremento del Pil a livello nazionale pari al -2,4%.

Ma se, in realtà, si guarda indietro, negli anni, il mercato mostra la sua staticità: il 2009 si era chiuso con masse a quota 882 miliardi; il 2010, grazie all'effetto combinato di scudo fiscale e mercati, aveva raggiunto una consistenza di 910, ma, nel 2011, c'era stato di nuovo uno scivolone a 879, per poi risalire, nel dicembre scorso appunto, a quota 899 miliardi. «Stagnazione dei mercati sviluppati, instabilità dell'Unione Europea, rallentamento dei tassi di crescita nei Paesi emergenti, mercati finanziari flat e rischi elevati nel sistema finanziario – spiega Mauro Panebianco, partner di PwC – sono i fattori macroeconomici che hanno determinato questo stato di cose». Secondo l'analista, hanno avuto un ruolo non indifferente anche l'elevata avversione al rischio che si traduce in una maggiore propensione per la liquidità e per i prodotti di investimento a più bassa marginalità, tra cui, per esempio, quelli che replicano il benchmark (tipo gli Etf) e, tra i clienti Ultra Hnwi, la richiesta di maggiore qualità nel servizio, magari a parità di costi, con prospettive di bassi ricavi.

A questo si aggiungono anche elementi tecnologici (diffusione dell'utilizzo dei social media), crescente sofisticazione nell'analisi dei dati della clientela, aumento dell'utilizzo di dispositivi digitali (come i tablet e gli smartphone) e piattaforme che consentono maggiore autonomia ai clienti. A pesare sui costi delle imprese ci sono state nuove normative e modifiche regolamentari (Emir Mifid1 e 2; abolizione delle retrocessioni). Dulcis in fundo, i cambiamenti nella tassazione delle rendite finanziarie (innalzamento al 20% dell'imposta sugli interessi maturati con quasi tutti gli strumenti finanziari, l'introduzione dell'imposta di bollo allo 0,15% sui depositi bancari, la Tobin Tax introdotta del 1° marzo) con un inasprimento non da poco. Certo, se si guarda all'ammontare del mercato private attualmente servito dagli operatori (pari a circa 431 miliardi) il potenziale è ancora tanto e chi ha una giusta strategia può ancora crescere. Ma c'è aria di cambiamento.

Il settore è destinato a mutare e «presto assisteremo alla trasformazione dei player esistenti con il consolidamento di alcuni e probabilmente all'entrata di nuovi player», ricorda ancora Panebianco. Da un lato, la pressione legata ai requisiti patrimoniali, dall'altro, gli investimenti necessari per supportare costi di compliance e essere al passo con l'It, porteranno molti operatori a vendere le divisioni private quando non sono core. Le piccole boutique potrebbero non riuscire a supportare i costi crescenti, a fronte di margini più bassi. In Europa, infatti, dove si prevede che tra qualche anno rimarranno solo pochi grandi player, abbiamo già assistito ad alcune importanti operazioni. A marzo si è conclusa l'acquisizione da parte della britannica Schroders di Cazenove Capital, mentre Credit Suisse ha rilevato tutto il private banking europeo e del Middle East di Morgan Stanley, che a questo punto esce definitivamente anche dal mercato italiano. Un altro marchio americano ormai uscito dal business è Merrill Lynch, anche sotto la nuova veste di Bof.

Anche in Italia qualcosa si sta muovendo: il gruppo Syz & Co passa dalla posizione di azionista paritetico con gli azionisti italiani a azionista di maggioranza con il 64,3% della holding che controlla la Banca Albertini Syz & C, attraverso l'acquisizione delle quote finora detenute da Giampaolo Gamba e Ernesto Marelli. Ma sono tanti i dossier che circolano da mesi. E parlando di consolidamento sembra ormai prossima la cessione di Banca Esperia da Mediolanum al socio Mediobanca che già ne detiene il 50% (qualcuno parla di una richiesta intorno ai 200 milioni, ma la trattativa è ancora molto serrata sul prezzo). Dossier ne ha visti diversi negli ultimi anni anche il vertice di Ubs, che sembra interessato a prendere seriamente in esame quello riguardante Bim. La banca private, alla quale fa capo anche una fabbrica prodotto, è stata rilevata dua anni fa da Veneto Banca. Anche in questo caso la trattativa è sul prezzo (circola la cifra di 100 milioni), ma, soprattutto, come avviene per questo business, qui la vera forza attraente è data dalla rete di private banker, il vero legame con i clienti. C'è qualcuno che in un quadro di grande ristrutturazione vede positivo. Si tratta di Riccardo Pironti, responsabile J.P. Morgan Private Bank per l'Italia. «C'è una nuova leva di imprenditori, molti di seconda o terza generazione, che si dimostra dinamica e attenta ai servizi finanziari, e interessata a una private bank moderna e dedicata - dice - che propone consulenza in tema di pianificazione generazionale e riorganizzazione familiare, nonché soluzioni di credito. Perché queste tematiche hanno un rilievo centrale nell'attuale congiuntura economica».

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