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Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2013 alle ore 12:15.

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Paura del fisco italiano? Non solo. «A rendere ancor più attraente che in passato la Svizzera ci sono tanti motivi», racconta un banchiere italiano. La pressione fiscale è decisamente più bassa sia sulle imprese (tra il 25 e il 35% dell'utile) sia sulle persone fisiche. Ma c'è anche una giustizia che funziona, pagamenti della Pubblica amministrazione che avvengono entro 30 giorni (in Italia ce ne vogliono in media 180), un'alta mobilità del personale compensata da un bassissimo tasso di disoccupazione, infrastrutture moderne ed efficienti, un sistema bancario liquido e poco esposto sul debito interno. E ancora un basso costo del denaro e una facilità a trovare finanziamenti anche di lunghissimo termine (come mutui a 30 anni) che facilitano iniziative imprenditoriali. E che dire di quella competizione tra cantoni (il mix migliore tra tasse e servizi sociali e infrastrutturali) che sta portando sempre più imprenditori italiani a trasferirvi, quando possibile, la loro impresa? Così, se nel 2011 la quota più alta (il 17,57%) della popolazione straniera residente in Svizzera è costituita da italiani, secondo alcune stime nel 2012 l'incremento sarebbe consistente.

Durante l'anno scorso, infatti, più di 43mila cittadini italiani hanno operato economicamente nel Canton Ticino. L'altra faccia della medaglia sono i circa 116 miliardi di euro che, secondo alcune stime, nel 2012 sarebbero fuoriusciti dalle banche italiane. Una cifra che ha superato l'ammontare dello scudo fiscale del 2009 (circa 95 miliardi). Si tratta di trasferimenti verso il paese elvetico fatti in piena regola e nel rispetto della legge italiana. Ma non finisce qui, perché a questi se ne aggiungono tantissimi altri che hanno varcato illegalmente le frontiere. Secondo una stima del Fondo monetario internazionale, tra giugno 2011 e giugno 2012 sono andati fuori dei nostri confini ben 235 miliardi di euro, 19,5 miliardi al mese a tutto beneficio di altre valute e soprattutto del franco svizzero. Ma c'è un'altra questione che scotta e che deve portare il futuro governo a riflettere. Il tema riguarda la contropartita chiesta dalla Svizzera per chiudere l'accordo Rubik (regolizzare chi detiene illecitamente o senza averli regolarizzati soldi all'estero) che è ragionevole supporre arriverà nel 2014. Se il cliente regolarizza con Rubik i propri patrimoni gestiti in Svizzera è logico pensare che anche l'intermediario elvetico possa aprirsi liberamente al mercato italiano senza più sottostare al rigido processo di autorizzazione della Consob.

«La contropartita politica richiesta dalla Svizzera (come con Regno Unito e Germania) – spiega Marco Silvani, direttore generale Lemanik Sa – per l'accordo Rubik è quindi quella di concedere la libera prestazione di servizi in Italia. Questo vorrebbe dire la possibilità per circa un migliaio di operatori svizzeri di gestire i clienti italiani (private banking) anche senza strutture in Italia ma direttamente dalla Svizzera. Questo cambia le cose nella sostanza per diverse ragioni: perché, primo, finora gli operatori svizzeri in Italia propongono prodotti di asset management, non gestiscono i clienti; secondo, le banche svizzere che fanno private in Italia potrebbero chiudere le loro sedi italiane e gestire la clientela dalla Svizzera. Inoltre, gli operatori di quel Paese potranno ampliare la gamma di prodotti offerti, mentre adesso si devono limitare a quelli autorizzati in Italia». Insomma, una concorrenza agli intermediari italiani non di poco conto. Prepararsi a difendersi diventa, allora, una priorità.

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