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Questo articolo è stato pubblicato il 30 aprile 2013 alle ore 16:37.

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La Cina è alle prese con la sua sfida più grande: garantire una crescita sostenibile per il bene del Paese e del mondo intero. In questo senso, siamo davvero di fronte a una realtà economica ancora in via di sviluppo, impegnata com'è a conciliare rivoluzione industriale e qualità della vita. Con un fattore che rema contro le migliori intenzioni: il tempo. Giusto per fare un esempio, l'Italia è partner della Cina nella riconversione della più grande centrale a carbone rimasta inglobata nel centro della capitale, Pechino, cresciuta a dismisura fino a raggiungere e quasi superare i 20 milioni di abitanti. Ebbene, anche nelle migliori previsioni, ci vorrà oltre un decennio per riuscire a smantellare il sito produttivo e a far sì che il progetto si traduca in un beneficio per la comunità.

Jin Bei è professore all'Istituto di economia dell'Accademia cinese delle scienze sociali (Cass). È tra gli studiosi che si arrovellano per individuare tempi e modi della più grande riconversione verde in atto sul pianeta: il passaggio della Cina da locomotiva inquinante a motore di una crescita buona e giusta. Sostiene Jin Bei che la Cina, nonostante le apparenze, ha fatto progressi nell'utilizzo delle risorse energetiche a tutto vantaggio dell'ambiente. «Basta guardare, a distanza di trent'anni dall'apertura economica e delle riforme come, pur avendo prodotto sviluppo industriale e inquinamento ambientale, di pari passo abbia progredito nell'efficienza dell'utilizzo delle fonti energetiche». In effetti la curva dell'utilizzo di carbone dal 1986 al 2010 mostra una lenta flessione: un quarto rispetto all'ammontare di tonnellate in 15 anni. Si può promuovere l'utilizzo di risorse alternative riducendo quelle a rischio per l'ambiente. Non senza continui "ritorni di fiamma", tutte le volte che la crescita richiede (e richiederà) più energia per evitare alla locomotiva di rallentare troppo o, addirittura, fermarsi.

C'è poi un paradosso da tenere in conto: non si può puntare a una crescita razionale senza che le realtà locali siano sviluppate. Jin Bei fa l'esempio di Xixia e Xichuan, contee confinanti con diversi destini. «Xixia nel 2008 ha conquistato la palma per la migliore gestione delle acque - ricorda l'accademico – al contrario di Xichuan che è brulla, senza verde,. La prima ha "svoltato" perché ha potuto contare su risorse scaturite dallo sviluppo industriale dell'area, e non ha dovuto aspettare, a differenza di Xichuan, i finanziamenti pubblici che arrivano spesso in ritardo rispetto ai bisogni delle comunità». Solo la nascita di una vera industria della protezione ambientale, quindi, può stimolare il cambiamento. «Siamo ottimisti sul fatto che la Cina farà passi da gigante nella protezione di sé stessa e del mondo», conclude Jin Bei.

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