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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2013 alle ore 15:44.

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Causa recessione, nel 2012 la domanda di energia in Italia è scesa ancora, del 3%, sotto i 178 milioni di tonnellate equivalenti petrolio ed è tornata sui livelli del 1997. Un crollo di domanda che, però, non ha portato nessun calo dei prezzi, anzi. Rispetto ad allora quelli dell'elettricità e del gas sono più che raddoppiati, mentre i prezzi della benzina sono superiori dell'80 per cento. Qualcosa, evidentemente, nei meccanismi di mercato non ha funzionato, visto che proprio le liberalizzazioni, il fondamento delle politiche energetiche degli ultimi vent'anni, dovevano portare duraturi prezzi al ribasso.

Allora non venne sufficientemente spiegato che il nostro sistema energetico dipende per l'80% da importazioni dall'estero e che gran parte di queste o sono direttamente petrolio, o sono gas, che ha prezzi legati al petrolio. È per questo che noi possiamo in Italia fare tutte le riforme che vogliamo, ma gli effetti, per quanto positivi, vengono poi vanificati dal mercato internazionale delle materie prime. Poi abbiamo messo del nostro, con le tasse, in particolare sulla benzina a fine 2011, o con gli incentivi alle rinnovabili, soprattutto al fotovoltaico, fatti pagare sulle bollette elettriche. È quello del petrolio il prezzo intorno al quale ruotano tutti gli altri. Per nostra fortuna, almeno per il momento, il barile dà segnali di debolezza. In aprile è sceso verso la soglia dei 100 dollari, il 20% in meno rispetto ad un anno fa, ma gli spazi per ulteriori flessioni sono ancora enormi. Le tariffe elettriche e del gas alle famiglie hanno iniziato la discesa già da inizio anno, con flessioni rispettivamente del 2 e del 3%, ma ulteriori riduzioni, dello stesso ammontare, sono attese a luglio e ottobre. I prezzi della benzina e del gasolio sono calati rispettivamente sotto le soglie di 1,8 e 1,7 euro per litro, 20 centesimi rispetto ai picchi di un anno prima, e ulteriori flessioni sono attese nelle prossime settimane.

Ma è proprio la caduta della domanda che dovrebbe portare altri cali per effetto di un eccesso di capacità mai conosciuto in passato. Le raffinerie di petrolio hanno ripreso a chiudere come negli anni 80 dopo gli shock petroliferi, nel gas si sono firmati troppi contratti di fornitura, nell'elettricità le centrali nuove a ciclo combinato, gioielli di efficienza ambientale, devono chiudere. Qui, al crollo della domanda, si aggiunge il successo clamoroso, e costoso, delle rinnovabili, in particolare del fotovoltaico.

L'Italia è il secondo Paese al mondo, non distante dalla Germania, per produzione da questa fonte meravigliosa, che valse ad Einstein il premio Nobel nel 1921. Abbiamo avuto una crescita in 6 anni da quasi zero a 18 miliardi di chilowattora, il 6% dei consumi di elettricità, quantità pari a quella prodotta da tre grandi centrali a gas. Tuttavia, rispetto al totale dei 178 Mtep consumati, il fotovoltaico conta per il 2%, ma alla sua produzione concorrono oltre 500mila impianti, che hanno compiuto una sorta di rivoluzione verso la democrazia dell'energia. Questi impianti, siccome producono nelle ore del giorno quando la domanda è più alta, tagliano le punte di prezzo (peak shaving) sulla borsa dell'elettricità, facendole, però, alzare di sera. L'effetto netto è, comunque, un calo, dovuto al semplice forte aumento di offerta su base annuale. Rimane la generosa incentivazione, 6,7 miliardi all'anno, a cui se ne sommano altri 4 per tutte le altre fonti rinnovabili.

Fra il 2004 e oggi le tariffe elettriche sono aumentate di 6 centesimi, 2,5 riguardano gli incentivi, 2 il costo del combustibile e il resto altre voci e tasse. Il successo del fotovoltaico illumina poco il disastro del resto dell'industria elettrica italiana che può vantare, ma non ripagare, la più profonda ristrutturazione effettuata in Europa, con investimenti per 20 miliardi di euro in 30mila mW di nuove centrali a gas a ciclo combinato, super-efficienti, pulitissime, ma anche care. Molte di queste funzionano pochissimo e non riescono a ripagare né gli investimenti né i costi del gas. È distruzione di ricchezza che pagheremo tutti.

L'unica nota positiva riguarda il fatto che il crollo dei consumi e le rinnovabili ci hanno fatto raggiungere, incredibile, l'obiettivo di Kyoto, con emissioni di CO2 nel 2012 scese addirittura sotto la soglia stabilita di 472 milioni di tonnellate. I benefici, tuttavia, sono vanificati dai bassi prezzi dei permessi, scesi a minimi di 3 euro. Qui l'Italia, proprio perché ha il sistema elettrico che va a gas e che emette meno CO2, dovrebbe darsi da fare per sostenere le quotazioni della CO2 e penalizzare chi, invece, consuma più carbone, soprattutto la Germania, nel tentativo di ridurre il gap fra i nostri e i loro prezzi dell'elettricità. Energia, nella sua definizione più semplice, è capacità di fare lavoro. L'Italia fonda la sua ricchezza sul manifatturiero ed è per esso che occorre un'alleanza per garantirgli prezzi più bassi. Questo è anche il primo obiettivo della Strategia energetica nazionale approvata dal governo uscente a inizio marzo e figura anche nel documento dei saggi di inizio aprile. Occorre, allora, solo mettersi al lavoro.

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