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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2013 alle ore 15:43.
Il crollo della domanda di kiloWattora, causato della crisi, e il forte balzo in avanti della produzione da fonti rinnovabili, al di là di ogni aspettativa, costituiscono, a giudizio degli esperti, una miscela esplosiva che rischia di minare la sicurezza del sistema elettrico nazionale. La potenza lorda elettrica installata supera in Italia i 110mila megaWatt, ma circa il 40% è in eccesso e resta di riserva in attesa che i consumi di energia tornino a crescere. Una quota elevata che negli altri Paesi non supera il 20-30 per cento. A pagarne le conseguenze sono soprattutto gli impianti termoelettrici, in particolare i cicli combinati, che producono per il mercato.
Sono immuni dagli effetti della sovracapacità gli impianti fotovoltaici, eolici, geotermici, in regime di Cip 6 e parte di quelli idroelettrici che operano al di fuori del mercato e che beneficiano di incentivi pubblici: centrali per 40mila megaWatt la cui energia prodotta è ritirata dal gestore della rete di trasporto a prezzi garantiti, pari in taluni casi al doppio di quelli in vigore in Germania. Il fotovoltaico da solo rappresenta oggi il 6% della produzione nazionale e in certe ore del giorno le rinnovabili arrivano a soddisfare fino al 23% della richiesta. Dichiara Simone Mori, direttore della divisione Regolamentazione, ambiente e innovazione dell'Enel: «Ogni 100 euro pagati in bolletta dal consumatore per la componente energia, 40 sono a fronte dell'elettricità prodotta da impianti che operano in concorrenza, mentre 60 vanno alle produzioni che hanno la precedenza nel dispacciamento, a prescindere dal costo».
L'onere tariffario a carico degli utenti per ripagare i sussidi alle rinnovabili sarà di 12 miliardi l'anno per i prossimi vent'anni (oltre 240 miliardi), di cui più della metà per il solo fotovoltaico. L'eccesso di capacità produttiva ha determinato la caduta del cosiddetto spark spread, che esprime la differenza tra il costo del gas necessario per produrre un kilowattora e il prezzo di vendita del kilowattora. Il suo valore medio è considerato ottimale quando oscilla tra 15 e 20 euro, come è successo tra il 2007 e il 2008. Purtroppo, a partire dal 2008 lo spread è venuto giù a precipizio.
Nel 2009 è crollato a 10 euro, l'anno successivo è sceso a 6 e nel 2011 a 5 per poi passare a un euro nel 2012. Nel corso di quest'anno è previsto l'azzeramento. Significa che, nelle attuali condizioni di mercato, in Italia una centrale a ciclo combinato chiude il bilancio con un margine operativo pari a zero. «Oggi i prezzi bastano appena a coprire i costi variabili durante il giorno», sostiene Federico Boschi, a capo della direzione mercati dell'Autorità per l'energia. In un contesto del genere, le centrali convenzionali a metano sono fuori mercato. Il discorso vale per l'Enel e per i suoi 5.100 megaWatt di capacità a gas abilitata al mercato, ma vale ancora di più per aziende come A2a e Sorgenia, che hanno investito sui cicli combinati e che oggi sono alle prese con chiusure di impianti e cassa integrazione. Inoltre, l'Enel mantiene in esercizio alcune centrali a olio combustibile (per un totale di 6mila megaWatt) come impianti di riserva in caso di interruzione dell'import di metano. I costi "vivi" di queste centrali, selezionate con un'asta bandita dal ministero dello Sviluppo, gravano sulle bollette del gas. Nel momento in cui il Governo non ritenesse più essenziale il servizio, l'Enel procederebbe alla loro chiusura e al trasferimenti degli addetti.
Si pone a questo punto per l'Italia un problema di sicurezza del sistema, che peggiora con l'avanzare delle rinnovabili. L'eolico e il fotovoltaico dipendono da elementi della natura, sono fonti discontinue che richiedono una capacità di adattamento del sistema. I produttori elettrici pongono non a caso il problema della remunerazione dei servizi di flessibilità: la quota di capacità di un sistema pronta ad entrare in funzione al venir meno di una certa fonte di energia. Prosegue Mori: «Lo scopo dei servizi di flessibilità è di evitare le cadute di potenza della rete provocate dalla intermittenza delle rinnovabili e di assicurare il bilanciamento continuo tra immissioni e prelievi nel sistema». Per una improvvisa mancanza di vento che ne fermò gli impianti eolici, la Germania nel 2007 subì un black-out che coinvolse la Francia e la Spagna, fino a lambire il Marocco. Il riconoscimento dei servizi di flessibilità da parte dello Stato potrebbe essere un modo per compensare almeno in parte l'attuale sovraccapacità.
L'impossibilità di stoccare la corrente rende poi vulnerabili i sistemi nazionali. Diverso appare il futuro. La ricerca sta facendo passi da gigante. Le grandi batterie e l'utilizzo dell'aria compressa consentiranno di conservare il kilowattora. Le reti "intelligenti", digitalizzate, semplificheranno la gestione delle centinaia di migliaia di microimpianti di produzione distribuiti sul territorio. I sistemi di ricarica veloce aumenteranno il ricorso all'auto elettrica. Le tecnologie come le pompe di calore e le piastre a induzione per la cottura dei cibi renderanno più efficiente e compatibile con l'ambiente l'uso dell'energia. L'evoluzione tecnologica consentirà di produrre energie rinnovabili non incentivate. Le innovazioni cambieranno il sistema. Oggi, però, bisogna fare i conti con il rischio di chiusura degli impianti e con le sue conseguenze nel lungo termine, che potrebbero riportarci indietro di decenni.
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