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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2013 alle ore 07:12.

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L'industria degli orologi continua a rappresentare un vero e proprio caso di studio. E questo avviene nonostante il mercato asiatico si sia sostanzialmente stabilizzato, con il gigante cinese che pare prendersi una pausa dopo una lunga galoppata, anche a seguito di una sorta di campagna di moralizzazione che ha coinciso con l'insediamento del nuovo presidente Xi Jinping. Niente più orologi né alcolici costosi in regalo, dunque.

E anche la first lady, Peng Liyuan, ha optato per l'understatement. Il risultato? Meno 25% le esportazioni in Cina di orologi svizzeri (in fatturato) nel primo trimestre 2013 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Così, come se avesse sviluppato gli anticorpi nei confronti del rallentamento economico internazionale, il settore delle lancette ha spostato l'asse, riequilibrandolo verso gli Stati Uniti e l'Europa. Aree che tornano a interpretare un ruolo di primaria importanza, senza dimenticare i mercati emergenti come il Sud America, con il Brasile in testa.

Risultati in gran parte dovuti ai segnatempo svizzeri, che in termini di valore hanno una quota di mercato nella produzione mondiale pari al 50% e di cui la stragrande maggioranza è destinata all'export. Secondo i dati rilasciati dalla Fédération de l'industrie horlogère suisse, a seguito di un rallentamento della crescita in Asia, il valore delle esportazioni degli orologi "Swiss made" è decisamente positivo negli Stati Uniti e, a sorpresa, anche in Europa, con la Germania in testa, seguita da Italia e Inghilterra, che hanno contribuito a compensare la stasi del Far East. Bene, dunque, il mercato del Belpaese, che mantiene il sesto posto mondiale e che nel solo dicembre scorso ha registrato un lusinghiero +32,4% (+17% nel primo trimestre 2013).

Ma è il risultato globale quello che conta, che per gli orologi svizzeri è ancora una volta da record: a fine 2012, per la prima volta le esportazioni rossocrociate hanno sfondato la fatidica soglia dei 20 miliardi di franchi, toccando per l'esattezza i 21,6 miliardi, con un aumento del 10,9% rispetto al 2011. Tornando alla pausa di riflessione del lusso tradizionale nella Greater China, che include anche Hong Kong, Macao e Taiwan – gli ultimi due mercati hanno fatto segnare però segno positivo – preme sottolineare che questo fenomeno è stato confermato anche da Juan-Carlos Torres, presidente di Vacheron Constantin, uno dei fiori all'occhiello del gruppo Richemont. Situazione che ha però spalancato le porte al lusso accessibile, come racconta Massimo Carraro, presidente di Morellato&Sector. Il quale, oltre ad aver visto aumentare la presenza dei propri marchi nel Middle East, ha visto crescere il gruppo in Asia del 60% durante il primo trimestre, risultato che giunge di slancio dopo aver fatto segnare un +25% nel 2012.

Il segreto del successo? Avere il controllo diretto della distribuzione. Più contenuti i dati generali relativi alle lancette in Italia, come spiega Mario Peserico, presidente di Assorologi, fresco di riconferma. «Non sono momenti facili - dice - ed è ovvio che il clima di sfiducia e di attesa che contagia il consumatore non può non riflettersi anche sul nostro mercato. Così come fatto lo scorso anno, mi sembra però giusto evidenziare che l'orologeria tutto sommato tiene molto meglio rispetto ad altri comparti e riesce a difendere immagine, competitività e attrattività. Il settore si augura che vengano adottate misure mirate all'incentivazione e alla crescita dei consumi, a partire dalle politiche fiscali».

Nel corso del 2012, infatti, in Italia sono stati venduti poco meno di 7 milioni di orologi da polso, per un valore di 1,14 miliardi di euro: è questo il dato principale che emerge dall'indagine annuale effettuata da GfK Retail & Technology per conto di Assorologi. In un mercato che per i due terzi è costituito da turisti, si evidenzia la crescita degli orologi Swiss made e il calo di quelli di fascia bassa. Infine, un dato assai interessante è quello relativo agli acquisti tramite il canale Internet (aste ed e commerce) che raddoppia fino al 9% a volume e arriva all'8,3% a valore. Che il futuro sia lì, anche per i concessionari?

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