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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2013 alle ore 18:09.

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È ancora lunga e dura la notte della crisi, in Veneto e nel Nord-Est. Un dato su tutti, quello del Pil che tra il 2007 e il 2013 è calato dell'8%, più di quanto non sia accaduto in Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna e Lazio. Segnale di una regione esposta più di altre ai venti freddi dei mercati internazionali. E, nel contempo, punteggiata da un fitto reticolo di piccole e microimprese che soffrono la crisi della domanda interna e la stretta del credito. Anche l'export sta frenando la sua corsa (deludente il dato 2012 in crescita col freno a mano tirato: +1,6%).

Ecco quindi che aumenta la disoccupazione (passata dal 6,3% del primo trimestre 2012 all'allarmante 8,6% dello stesso periodo 2013) e che calano i consumi, scesi di altri 1,2 punti percentuali, dopo il -4% del 2011. Soprattutto, preoccupa il calo degli investimenti fissi lordi, che in due anni sono scesi di 11 punti percentuali. Il Veneto, o meglio, le sue punte d'eccellenza imprenditoriali, devono provare a tirarsi fuori dalle secche esportando sempre di più. In particolare, inserendosi in quelle catene del valore globali che oggi rappresentano l'approdo relativamente più sicuro in termini di redditività e stabilità dei rapporti commerciali. Il problema è la loro difficoltà a generare indotto, a tirarsi dietro le storiche filiere della subfornitura. O, ancora, quello di trovare i capitali necessari per consolidare la propria presenza sui mercati internazionali. Una diffusa domanda di risorse, questa, che difficilmente le banche saranno in grado di soddisfare. E che trova risposta, sovente, nella crescente acquisizione da parte di player internazionali. Ha fatto rumore l'acquisizione di Pomellato, storico e innovativo brand dell'orafo vicentino (quelli del Dodo, per intenderci) da parte della francese Kering, che già controlla Gucci e Bottega Veneta. Lo shopping, tuttavia, non si ferma a grandi marchi con fatturati attestati intorno ai 150 milioni. Se nel 2007, prima della crisi, le piccole imprese calzaturiere del Brenta in mano a un investitore straniero erano il 7% circa, oggi sono oltre il 17 per cento. Ad essere acquisiti dalle grandi imprese straniere sono soprattutto i piccoli e iperspecializzati laboratori di subfornitura. Segnale ambivalente: se da un lato certifica le difficoltà del nostro sistema produttivo nel mantenere la proprietà dei suoi "gioielli", dall'altro garantisce la sopravvivenza di imprese, posti di lavoro e know-how. Difficile scegliere...

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