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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2013 alle ore 18:10.

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È un equilibrio difficile, e instabile: basta un'oscillazione del cambio euro dollaro per intuire se in quel mese gli ordini saranno in aumento, o si raffredderanno. Giulio Pedrollo, neoeletto presidente degli industriali di Verona, guida un'impresa che esporta in 80 Paesi, non nasconde le difficoltà del momento, ma precisa: «La scelta di continuare a produrre alcuni componenti in Italia si è rivelata giusta: anni fa, il differenziale fra lo stesso stampo fatto in Cina o qui era notevole, diciamo 80 a venti».

«Quel divario – aggiunge – è andato riducendosi tanto che oggi un cliente è disposto a pagare un po' di più il "made in Italy" riconoscendone un valore aggiunto. Le innovazioni, i miglioramenti, sono sempre arrivati dalla produzione svolta qui: questo è il vero valore aggiunto dal quale ripartire, dando spazio ai giovani». Non a caso negli spazi della Linz Electric (produzione di alternatori, Gruppo Pedrollo) di Arcole, Verona, si sperimenta l'"adozione d'impresa": «Abbiamo scelto di dare ospitalità a una delle tante idee che ci venivano presentate, in un settore diverso ma affine, quello delle lampade a led. Ne è uscita una mole di progettualità inimmaginabile, con possibili collaborazioni future e nuovi mercati per l'azienda "madre"».

Il Veneto – che fa i conti con la crisi, nel legno-arredo, nella meccanica, con la quasi totale sparizione del distretto fotovoltaico, con la disperazione di imprenditori che si uccidono – studia nuove strategie, e sempre di più l'export ricopre un ruolo chiave, al punto che bisogna farne sempre di più. Negli ultimi dieci anni – segnala l'ufficio studi di Confindustria Padova – l'aumento complessivo delle esportazioni della provincia è stato del 52,1% (+30% nei mercati tradizionali, +157,9% negli emergenti). «Questo significa – sottolinea il presidente, Massimo Pavin – che la ricerca di nuovi sbocchi è strategica e paga sul medio periodo. E se la vocazione all'export sta consentendo a molte aziende di reggere l'urto della crisi, è necessario allargare i confini, non stancarsi di prendere la valigia e giocare d'anticipo senza aspettare che i mercati maturi diano segni di saturazione». Nel 2012 l'export veneto nel mondo è cresciuto dell'1,6%: meno della metà del dato nazionale. Si può fare di più. Ma come? Forse puntando sui Paesi emergenti: il traino principale è arrivato da Nord Africa (+19%) e America Centro-meridionale (+15), ma con un calo dell'Asia orientale (-7,6) e, dentro questo valore, un crollo della Cina (-26,2%). Dato preoccupante.

La destinazione estera è una consapevolezza ormai diffusa, tanto da rientrare negli accordi sindacali: alla Sae D. Group di Campagna Lupia, nel Veneziano (settore impantistica), la trattativa ha portato a trasformare 15 richieste di mobilità in 48 riduzioni di orario: una forma di solidarietà mirata proprio alla ricerca di nuovi spazi all'estero. «Abbiamo rilevato l'azienda in aprile – spiega l'imprenditore Luca De Zanetti – con questa formula tutti conservano una parte di retribuzione, nessuno è a carico della collettività, e c'è il tempo di riposizionarsi e ripartire». Riescono a esportare, le imprese venete, anche il prodotto più difficile: la tradizione. Come Bauli, leader nel settore dei lievitati da forno, pandori, panettoni e colombe: «Portiamo i nostro dolci in 70 Paesi – dice il presidente Alberto Bauli – È un processo che richiede tempo e attenzione. Ricordiamo la Coca-Cola: ci ha messo trent'anni, e investimenti continui anche in marketing, per soppiantare l'italica gazzosa. Al momento il nostro mercato sono i gourmet, gli appassionati della buona tavola che vogliono assaggiare il dolce da ricorrenza italiano, in molti casi anche gli italiani all'estero e gli emigranti, o i loro discendenti, molto presenti in Paesi del Centro America e molto legati alle terre d'origine».

Nel Veneto che cambia il Polo scientifico-didattico Studi sull'impresa dell'università di Verona ha attivato il primo osservatorio sulle "nicchie globali": «Con questo termine intendiamo quei segmenti di mercato che presentano bisogni estremamente focalizzati – spiega il direttore, Andrea Beretta Zanoni – dove si richiedono alle aziende altissimi livelli di specializzazione, ma che al contempo hanno una dimensione globale, cioè sono uniformi a livello mondiale. Una forma di competizione molto complessa, che deve incrociare capacità molto specifiche con l'espansione sui mercati internazionali, in una combinazione non improvvisabile». E le nicchie trovano terreno fertile a Nord-Est: «Sono numerosi i casi di Pmi che riescono a competere ad armi pari nei mercati internazionali con prodotti ad alta differenziazione, concepiti e realizzati a misura dei propri clienti, con i quali stabiliscono relazioni collaborative per lo sviluppo di progetti innovativi». La Sicit 2000 nel settore dei fertilizzanti, o la Taplast, che nel Vicentino produce imballaggi di plastica, sono due dei casi sotto osservazione. Molto spesso si tratta di nomi poco noti al grande pubblico e non necessariamente di dimensioni rilevanti: «Sono aziende che hanno avuto la capacità e la lungimiranza di tessere reti di relazioni a distanza pur conservando forti legami con i luoghi di origine traducendo tutto ciò in qualcosa di unico», conclude il docente.

Ma la strada è ancora lunga: «Il sistema industriale veneto è messo a dura prova – spiega il presidente regionale degli industriali, Roberto Zuccato – La forte presenza del manifatturiero ne fa uno dei motori di sviluppo del Paese, ed è per questo che le difficoltà di questo sistema industriale hanno riverbero nazionale. I problemi maggiori sono per i terzisti a basso valore aggiunto, le Pmi che non sono in grado di approntare un piano di aggressione commerciale ai mercati esteri più lontani e promettenti, mentre le aziende che continuano a reggere sono quelle di medie dimensioni, fortemente internazionalizzate, con reti di distribuzione importanti e in grado di sostenere gli investimenti in ricerca e sviluppo. È questo il modello di impresa veneta cui bisogna tendere per sopravvivere alla lunga fase recessiva».

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