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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2013 alle ore 12:22.

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Una Coppa America low budget

Sulle acque della baia mozzafiato di San Francisco si svolgerà a partire da dopodomani 4 luglio (ora Usa), e fino al 30 agosto, la Louis Vuitton Cup, sfida da cui uscirà il nome del challenger per la 34/ma Coppa America. Alla vigilia di ogni America's Cup (e su questa grava il rischio di una lite sulle norme di sicurezza) puntuale come sempre, arriva il balletto dei numeri. Non poteva essere altrimenti. Alla Coppa America spetta il primato di essere stato il primo evento velico a catalizzare un interesse via via sempre maggiore di aziende interessate a promuoversi attraverso questa disciplina sportiva. Al pari dei cartelloni a bordo campo negli stadi o delle monoposto di Formula Uno ecco che anche su vele e scafi delle barche impegnate in questa competizione velica negli ultimi trent'anni abbiamo visto apparire in maniera sempre più evidente e ingombrante loghi di compagnie aeree, di aziende orologiere o griffe di moda.

I romantici se ne dovranno fare una ragione, ormai non si torna più indietro. La strada, o meglio, la rotta è tracciata e la vela con la Coppa America in testa è legata a doppio filo con il mondo delle sponsorizzazioni. Eppure non si tratta di una storia recente. Già in passato proprio l'America's Cup era stato lo strumento attraverso il quale attivare un canale di promozione di alcuni prodotti. Sir Thomas Lipton, che per cinque volte consecutive tentò l'assalto alla "vecchia brocca", aveva intuito le opportunità che questa competizione poteva offrirgli per la commercializzazione del tè sul mercato americano.

Stesso discorso vale per il Barone Bich che negli Anni 70 diede vita alla prima sfida francese che divenne anche il modo per promuovere in maniera indiretta anche il marchio negli Stati Uniti. Ma il primo a cogliere in maniera più strutturata l'opportunità di dare vita a una sfida che coinvolgesse più aziende fu lo Yacht Club Costa Smeralda che 30 anni fa riunì sotto il nome di Azzurra alcuni nomi forti dell'industria italiana: da Agusta a Barilla da Cinzano a Iveco. Era il 1983 e da quel momento la Coppa America cambiò definitivamente marcia. Spetta ancora all'Italia il merito di essere stata la nazione a contribuire maggiormente. Prima Raul Gardini, con Il Moro di Venezia, che divenne l'espressione più alta della Montedison nel lavoro di ricerca e innovazione sui materiali compositi. E poi con Patrizio Bertelli che fece il suo debutto in Coppa America ad Auckland nel 2000 arrivando in finale a sfidare proprio i neozelandesi a casa loro per conquistare la Coppa. Un'impresa che non riuscì, ma che permise a Prada di consacrare il successo della collezione dedicata allo sport e al tempo libero che aveva nella celebre Linea Rossa che caratterizzava lo scafo italiano il suo principale elemento di distinzione. Un sodalizio quello tra Coppa America e sponsorizzazioni che è cresciuto in maniera esponenziale, ma che oggi sembra arrivato a un bivio. La 34/ma edizione sarà quella della svolta. La nuova formula che vede per la prima volta i catamarani abbinati alla crisi economica, sta condizionando pesantemente i budget che le aziende sono disposte a mettere sul piatto.

Non ci sono cifre ufficiali, ma si stima che tra gli sfidanti Artemis abbia a diposizione poco più di 80 milioni di dollari. Per Luna Rossa, invece, le indiscrezioni portano a oltre 50 milioni di dollari il budget per la campagna. Emirates Team New Zealand avrebbe raccolto circa 70 milioni di dollari. Una questione di Stato, si potrebbe dire, dal momento che 36 milioni di dollari arrivano direttamente dal governo neozelandese e questo la dice lunga sulle intenzioni e la determinazione con le quali i neozelandesi si stiano preparando a questa sfida. In palio c'è molto di più di un trofeo d'argento con oltre 150 anni di storia sulle spalle. Ed è qui che si giocherà sempre di più in futuro la vera partita.

L'obiettivo dichiarato degli All Blacks della vela è tornare ad Auckland con la Coppa e avere così la possibilità di ospitare la 35/ma edizione dell'evento riscrivendone le regole. Tra il 1995 e il 2003, ovvero il periodo in cui la Nuova Zelanda difese l'America's Cup, l'economia nazionale ebbe benefici per circa 1 miliardo di dollari neozelandesi in termini d'indotto. Oggi secondo le ultime stime rese note dalla municipalità di San Francisco fissano a oltre 750 milioni di dollari le ricadute in termini d'indotto, rispetto al miliardo e 400 milioni di dollari calcolato in un primo tempo. I costi elevati della nuova formula, la conseguente mancanza di team e la crisi economica hanno condizionato in maniera pesante questa 34/ma edizione. Eppure tra le ambizioni di Emirates Team New Zealand e la Coppa c'è Larry Ellison che, è il caso di dirlo, sembra non aver badato a spese pur di farla restare nella "sua" San Francisco. Anche qui voci non confermate fanno riferimento a un budget di circa 120 milioni di dollari sul quale può contare il team americano.

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