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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2013 alle ore 08:25.

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Coltivazione di mele in Val di Non (Olycom)Coltivazione di mele in Val di Non (Olycom)

La mela sta al Trentino come la pizza a Napoli e dintorni. Simbolo riconosciuto di un territorio, prodotto di un made in Italy agroalimentare da esportazione. D'altra parte, in questa provincia del nord-est i meleti occupano quasi la metà delle superfici investite a colture legnose agrarie, comprendenti viti e altre piante da frutto, e circa un quinto delle aree melicole nazionali.

Gli ultimi dati Istat del Censimento agricolo 2010, in provincia di Trento indicano la presenza di 5.864 aziende attive nella coltivazione del melo, contro le 8.136 censite nel 2000, una superficie di 10.797 ettari (erano 12.084), per una dimensione media aziendale di 1,84 ettari (1,49 nel 2000). Numeri che evidenziano un processo di razionalizzazione del settore – tuttora in corso – favorito da un collaudato modello di aggregazione dell'offerta attraverso cooperative e Organizzazioni di produttori (Op). Un sistema che garantisce un giro d'affari annuo stimato in circa 300 milioni di euro, pari a un terzo di quello realizzato in Italia.

Tra queste strutture spiccano i consorzi Melinda e «la Trentina» che, insieme alla cooperativa Sant'Orsola, aderiscono all'Associazione produttori ortofrutticoli trentini (Apot). Quest'ultima, insieme ad Assomela (associazione «monoprodotto» cui fanno capo anche i consorzi altoatesini Vog e Vip) rappresenta il fulcro attorno al quale ruota un progetto per la realizzazione di un Distretto melicolo del Trentino-Alto Adige. Un polo regionale che nel 2012, nonostante un crollo rispetto all'anno precedente del 17%, ha garantito una produzione di 1,4 milioni di tonnellate, pari a oltre il 70% del totale nazionale.

«Il Distretto – spiega Alessandro Dalpiaz, direttore di Apot e di Assomela – punterà a favorire in modo virtuoso la commercializzazione, soprattutto sui mercati esteri, di tutti i produttori. Sarà una logica prosecuzione di quanto è stato fatto nel 2009, con il Consorzio From, per esportare le nostre mele in Russia, al quale è poi seguito un approccio in India». Un disegno al quale, dopo il via libera «tecnico» arrivato nei giorni scorsi, a breve dovrebbe aggiungersi l'export di mele (e pere) negli Stati Uniti, finora precluso per motivi fitosanitari.

«Del resto – ricorda Dalpiaz – la melicoltura in Trentino tra il 2005 e il 2010 è profondamente cambiata. Per fare fronte alla malattia degli Scopazzi che stava decimando le piante è stato necessario sostituire parte delle mele Golden, soprattutto nelle zone di fondovalle, con altre varietà, come Gala, Fuji, Granny Smith, Evelina. L'obiettivo, nei prossimi 4-5 anni, sarà disporre di una produzione basata su un 50% di Golden, il resto su altre varietà». Un progetto al quale Apot sta lavorando, attraverso il Consorzio Innovazione Frutta, insieme alla Fondazione Edmund Mach di San Michele all'Adige.

«Ora – dice Dalpiaz - la stagione 2012-13 sta finendo con buone performance; le giacenze all'1 giugno sono risultate del 30% inferiori rispetto alla stessa data dell'anno scorso, e questo rappresenta una buona base di partenza per la nuova annata».
«La campagna di commercializzazione si presenta molto buona – conferma Remo Paterno, presidente della Op Cio, con sede a Sarche – Anche se è mancato un 15% di prodotto, i prezzi sono aumentati in media del 30%. Ma quest'anno le piante stanno soffrendo: ci sono grossi problemi di ticchiolatura che in alcune zone, come Valdadige e Val di Non, potrebbero compromettere completamente i raccolti. Molto dipenderà da come questa malattia evolverà nei prossimi due mesi».

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