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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2013 alle ore 13:05.

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La corsa all'oro blu spinge l'innovazione

Un essere umano su otto, quasi un miliardo di persone, non ha accesso a fonti pulite di acqua. Un milione e mezzo di bambini all'anno - 4mila al giorno - muoiono di malattie derivate dall'acqua contaminata. Dall'altra parte del mondo, intanto, un crescente numero di occidentali cerca sollievo nel wellness e nel consumo di soft drink. Ma l'acqua è una risorsa limitata, che comincia a scarseggiare anche da noi, non solo in Africa o in Asia. Le stime dell'Agenzia europea dell'ambiente annunciano che l'11% della popolazione e il 17% del territorio europeo sono affetti da carenza idrica, con un costo che nell'ultimo trentennio ha superato i cento miliardi di euro. E andrà sempre peggio, se non saremo capaci d'invertire il trend. La Banca Mondiale stima che la quota globale di esseri umani a corto di acqua sarà del 45% (4 miliardi) nel 2050, contro l'8% (500 milioni) nel 2000. Per questo è importante la cooperazione a tutti i livelli, tra Paesi che insistono sullo stesso bacino idrografico o fra villaggi che si affacciano sul medesimo fiume, «altrimenti si rischia di andare incontro in tempi brevi a vere e proprie guerre per l'acqua», ci avverte Torgny Holmgren, direttore dello Stockholm International Water Institute, dalla recente World Water Week di Stoccolma.

La carenza non è uguale dappertutto: 9 Paesi controllano il 60% della disponibilità globale e tra questi solo Brasile, Canada, Colombia, Congo, Indonesia e Russia ne hanno in abbondanza. Cina e India, con oltre un terzo della popolazione mondiale, devono accontentarsi del 10% dell'acqua e stanno esaurendo le riserve del sottosuolo. Lo stesso accade in molte grandi città: l'acqua di Città del Messico viene al 70% da una falda che sarà esaurita nel giro di un secolo al ritmo di estrazione attuale, tanto che la città sprofonda. Un problema analogo si pone a Barcellona, dove lo svuotamento della falda d'acqua dolce sta causando il progressivo avanzamento dell'acqua salmastra nel sottosuolo. Il 97% dell'acqua esistente, infatti, è salata e quindi inservibile.

Rendere potabile l'acqua di mare è uno dei sistemi più comuni per risolvere le carenze idriche più acute e in prospettiva è destinato a crescere in maniera esponenziale. In base a uno studio di Global Water Intelligence, gli investimenti negli impianti di dissalazione saliranno dai 5 miliardi di dollari nel 2011 a 17 miliardi nel 2016. Il fattore cruciale alla base di questa crescita è lo sviluppo di tecnologie che consumano sempre meno energia, come nel caso dell'"osmosi diretta", un ulteriore progresso rispetto alla tecnologia oggi più avanzata, quella dell'osmosi inversa. La Cina attualmente ha in esercizio 30 dissalatori e altri 6 in costruzione, l'India ne ha realizzati 8 e ne sta costruendo altri tre. Per questo le azioni di grandi imprese del settore continuano a salire. E non ci si ferma qui. Uno studio presentato a Stoccolma fa ben sperare: gli investimenti in ricerca sull'acqua stanno crescendo del 9% l'anno, un ritmo ben superiore alla media del 4% riferita ai vari settori. Resta il fatto che la prima soluzione alle carenze idriche è l'utilizzo efficiente di questa risorsa, che al contrario del petrolio può essere agevolmente riciclata.

Le nuove tecnologie ci vengono in soccorso anche su questo fronte. I sistemi di depurazione hanno ormai raggiunto la capacità di riciclare completamente sia l'acqua utilizzata dalle industrie nei processi produttivi, sia quella raccolta dai sistemi fognari. A Singapore il riciclo totale delle acque di scarico è ormai una realtà, ma nel resto del mondo incontra notevoli resistenze. San Diego è la prima grande città americana ad aver tentato questa strada, con un impianto di depurazione costato 480 milioni di dollari, che fornisce il 15% dell'acqua potabile consumata in città, prendendola dagli scarichi fognari e facendola passare attraverso una serie di filtri e disinfezioni, con un costo del 60% in più rispetto all'acqua pompata dal sottosuolo.

Le tecnologie digitali possono contribuire anche a contenere la grande sete dell'agricoltura, che beve il 70% dell'acqua consumata globalmente. Netafim, un'azienda israeliana vincitrice dello Stockholm Industry Water Award, ha inventato un sistema di irrigazione goccia a goccia completamente digitalizzato, che risolve anche il problema di cambiare e smaltire tutti gli anni i tubi di plastica, perché usa delle tubazioni biodegradabili, che si possono interrare senza danni. Questo sistema potrebbe favorire la diffusione di un'irrigazione efficiente, dimezzando i volumi d'acqua necessari per irrigare lo stesso campo. Il primo progetto è una coltivazione di canna da zucchero in Perù su 8.000 ettari. In pratica, le carenze idriche stanno dando origine a un'intera industria, in grado di fornire soluzioni sempre più sofisticate a tutti i problemi che si presentano.

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