Impresa & Territori IndustriaIl non fare costa 40 miliardi l'anno
Il non fare costa 40 miliardi l'anno
di Carlo Andrea Finotto | 4 dicembre 2013

A stilare l'impietosa bolletta, con tanto di dettagli – 45 miliardi solo nelle Tlc, 14 nelle reti ferroviarie, per citare alcune voci – è il rapporto 2013 sui Costi del non fare (Cnf) realizzato da Agici-Bocconi e presentato ieri a Milano.
Sono cifre che rendono l'idea del danno competitivo e sociale che subisce ogni anno un Paese stritolato dalla burocrazia, e che si ritrova giganteschi bastoni infilati tra le ruote dello sviluppo dal dilagante fenomeno Nimby (acronimo inglese che sta per Not in my backyard: non nel mio giardino). Secondo la classifica Doing business 2014 della Banca Mondiale, l'Italia ha recuperato due posizioni rispetto all'anno precedente – passando dal 67° al 65° posto – ma fare impresa resta comunque complicato: quasi una sfida masochista, se si pensa che per pagare le tasse e adempiere a tutti gli obblighi connessi occorrono 269 ore. Un impegno gravoso che fa precipitare l'Italia al 138° posto su 189 nazioni esaminate dalla Banca Mondiale. Tra l'altro, il peso del fisco rilevato è pari al 65,8% dei profitti.
A questo quadro già di per sé scoraggiante, si aggiunge quello dei ritardi e delle contestazioni degli enti locali e delle opposizioni di cittadini e ambientalisti sui territori. Nel 2012 sono stati 354 i progetti contestati: 151 nuovi e 203 "ereditati" dagli anni precedenti e ancora bloccati.
Così, mentre nella «verde Danimarca si progetta un moderno termovalorizzatore a Copenhagen con tanto di pista da sci sul tetto» – racconta Alessandro Beulcke, presidente dell'Osservatorio Nimby Forum – da noi le opposizioni mettono in fuga le multinazionali e fanno svanire investimenti: è accaduto con gli 800 milioni pianificati da British Gas a Brindisi (che pochi giorni fa ha messo una pietra tombale sul progetto già ritirato), rischia di accadere a Trieste con un altro rigassificatore (da 500 milioni), quello degli spagnoli di Gas Natural. Quel che è più incredibile, soprattutto agli occhi di potenziali investitori esteri, «è che si tratta in alcuni casi di progetti che avevano già ottenuto le approvazioni richieste» ricorda Beulcke, ma che restano inclagliati comunque, dall'ormai cronica incapacità di decidere delle istituzioni ai vari livelli. «Il fenomeno delle opposizioni – dice Beulcke – si intreccia con il "non fare" e i vincoli burocratici, producendo effetti perversi e danni alla competitività del Paese e alle ricadute sul territorio».
Tra i gap principali che le aziende italiane scontano nei confronti dei concorrenti esteri c'è quello del costo dell'energia, maggiore mediamente del 30%, eppure «è complicato riuscire a realizzare i rigassificatori necessari» sottolinea ancora il presidente dell'Osservatorio Nimby Forum. E ora, tra le principali opposizioni ai progetti strategici monitorati spicca quello nei confronti della Tap (Trans Adriatic Pipeline), gasdotto che porterà in Europa il metano dell'Azerbaijan, consentendo all'Italia di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico e di costituirsi come una sorta di hub del gas.
I ritardi o la mancata realizzazione di questi interventi pesano come un macigno sulla crescita del Paese e sulla ripresa: «Nel biennio 2012-2013 i costi per non aver fatto degli interventi in settori strategici sfiorano gli 82 miliardi» spiega Stefano Clerici, tra i coordinatori del nuovo rapporto Cnf con Andrea Gilardoni, Alessandra Garzarella e Maurizio Bellini. Un conto che lievita tantissimo proiettato all'orizzonte del 2027: «In totale 763 miliardi – ricorda Clerici – 375 solo per le Tlc, 112 legati alla rete ferroviaria, quasi 46 miliardi nel settore dell'energia». Il rapporto Cnf misura «i mancati benefici, i danni alla competitività e la ricadute negative in ambito sociale e ambientale». L'Italia non è rimasta ferma nell'ultimo biennio, ma i Baf (benefici dall'aver fatto) ammontano a 47,9 miliardi: il 58,6% dei costi per non aver fatto. Il Paese è inchiodato e il futuro non sembra riservare svolte positive: «Il prossimo rapporto Nimby – annuncia Beulcke – è destinato a confermare la tendenza del fenomeno delle opposizioni».