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Diversificare strategia vincente (ora più che mai)

Non tutti i mali, sui mercati finanziari, vengono per nuocere. Anzi, alcune lezioni possono essere salutari soprattutto per i risparmiatori. Uno degli effetti collaterali della crisi del debito sovrano dell'estate 2011 nei Paesi periferici (compresa l'Italia) è stato quello di cancellare il concetto di investimento "free risk", privo di rischio. Da allora, anche la clientela "private", solitamente più prudente e conservativa nelle scelte, è stata accompagnata a seguire maggiormente una logica di diversificazione, meno concentrata sui bond governativi.

Così a tre anni di distanza da quel l'evento, gli investitori che hanno puntato anche sui listini azionari internazionali hanno tratto beneficio dai nuovi massimi storici di Wall Street e dell'indice tedesco Dax mentre il ridimensionamento del rischio nel Vecchio Continente e la corsa dei bond corporate e high yield ha consentito loro di trarre vantaggi in modo più ampio dal comparto obbligazionario. «I clienti - spiega Riccardo Ardigò, responsabile prodotti e servizi di Ubs Wealth Management Italia - hanno avuto un incremento della componente azionaria che oggi sta in media tra il 25 e il 30% del portafoglio, una esposizione che consideriamo discreta e che ha una proiezione globale. La diversificazione ha interessato anche il mondo dei bond e le performance hanno beneficiato del restringimento degli spread con gli high yield».

Un'esposizione fino al 30% da destinare alle azioni è significativa per un clientela che ha ampie disponibilità da investire e l'approccio è condiviso da molte società del settore. «Alla nostra clientela "private" - sottolinea Marzio Zocca, responsabile gestioni individuali del Gruppo Azimut - offriamo una gpm multiasset, con profili di rischio differenziati ed anche personalizzati e con obiettivo di rendimento assoluto. Il profilo più conservativo prevede un'esposizione azionaria massima del 30% ed è quello ad oggi scelto dalla gran parte dei clienti». Il bilancio degli investimenti è stato fino a questo momento sicuramente positivo. Ma quali sono le previsioni dei gestori "private" per il prossimo futuro visto che i rendimenti sui bond sono sempre più compressi e sull'azionario sta crescendo la volatilità dopo gli ultimi picchi?

L'outlook resta in gran parte ancora favorevole all'equity. Sorvegliato speciale è soprattutto il mercato statunitense, quello che ha corso di più e ha le valutazioni più care. Aldo Martinale, responsabile funzione studi e analisi di Banca Intermobiliare, pensa che «allo stato delle cose non vi siano gli elementi per ritenere che il ribasso vada al di là di un movimento correttivo di breve termine, anche perché su un arco temporale di medio periodo permangono i fattori a favore di uno scenario costruttivo: l'importante supporto delle politiche monetarie in attesa che l'economia americana dia segnali di accelerazione, quella europea confermi i segnali di ripresa, in Giappone acquisti concretezza la fase delle riforme e in Cina sia gestita con equilibrio la fase di transizione economico/finanziaria». Non mancano delle incognite, a partire dalla crisi in Crimea, con le conseguenze ancora non del tutto rientrate, sino agli effetti che avrà la fine del piano di stimoli della Fed. «C'è anche un fattore statistico importante - spiega Zocca -: il 2014 è l'anno delle elezioni di medio termine negli States e, di solito, con l'avvicinarsi a questa scadenza i mercati sono un po' più nervosi, salvo poi riprendersi nell'ultimi trimestre».

Al di là delle azioni, i portafogli restano ancora costruiti prevalentemente intorno alle obbligazioni. Il parere dei gestori, in uno scenario di tassi al rialzo, soprattutto negli Stati Uniti, è di puntare sulle scadenze brevi continuando a cercare delle opportunità sul mercato. «Sui bond - continua Ardigò - pensiamo che ci siano ancora dei margini per gli high yield con ritorni interessanti dovuti al restringimento dello spread. Siamo invece molto cauti sui governativi». Tutte le strategie messe in campo sono, comunque, finalizzate a garantire la massima remunerazione per la clientela, secondo i diversi profili di rischio ovviamente. «L'obiettivo del nostro cliente - spiega Paolo Molesini, ad di Intesa Sanpaolo Private Banking - è quello del rendimento. Quindi, a nostro avviso, bisogna tornare a logiche di rendita, come avveniva 100 anni fa, più che di capitale. Dobbiamo quindi rispondere a questa fase in cui esiste molta liquidità ma scarso rendimento: meno del 15% delle obbligazioni che esistono al mondo rende più del 4%».

Per ottenere risultati di gestione significativi sempre più società guardano alla diversificazione valutaria come fonte di opportunità, anche perché le quotazioni dell'euro nei confronti delle principali divise hanno raggiunto livelli molto elevati. «Sulle valute - continua Molesini - abbiamo posizioni lunghe su dollari e sterline e su altre divise. Pensiamo che l'atteggiamento divergente delle Banche centrali con, da una parte, la Bce che continua a mantenere una politica espansiva e, dall'altra, la prosecuzione del tapering negli Usa e aspettative di rialzo dei tassi nel Regno Unito a partire dal prossimo anno, possa contribuire a una svalutazione dell'euro. Per questo motivo oltre il 20% dei nostri portafogli è interessato da una diversificazione valutaria».

Scarso appeal mostra l'oro, anche in chiave di bene rifugio in vista di turbolenze geopolitiche. Prudenza, infine, sul mondo degli Emergenti: alcuni gestori cominciano a intravedere delle opportunità di medio e lungo termine, ma la volatilità sui listini e sulle valute resta elevata e la prudenza domina ancora le scelte di investimento. «L'area geografica ancora di minor interesse - sottolinea Andrea Rotti, direttore investimenti gestioni patrimoniali Ersel - è quella dei Paesi emergenti, alle prese con un minor tono della crescita interna e soggetta alla minaccia di un più marcato rialzo dei tassi americani, ingenerato dal riassorbimento dello stimolo da parte della Fed».

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