Impresa & Territori IndustriaOculata pianificazione con l'aiuto del «trust»
Oculata pianificazione con l'aiuto del «trust»
di Laura Magna | 15 aprile 2014
Se ne riparla ogni volta che il governo emana una legge per il rientro dei capitali dall'estero. Ma il trust, un istituto relativamente nuovo per l'Italia, non è solo uno strumento per "nascondere" il patrimonio nei paradisi fiscali e non pagare le tasse. È innanzitutto un veicolo che serve a spossessarsi delle proprie ricchezze per differirle nel tempo e destinarle a terzi, dopo averle finalizzate a uno scopo. Uno strumento di oculata pianificazione più che un escamotage fiscale. «Se ho un milione di euro - dice Andrea Ragaini, ad di Banca Cesare Ponti - e voglio lasciarlo ai figli, posso sottoscrivere una polizza Vita e alla mia morte loro lo incasseranno e ne faranno ciò che vogliono.
Se mi affido a un trust, invece, io divento il disponente, o anche il settlor, smetto di avere la proprietà di quel milione e il trustee me lo gestisce per le finalità che io gli impongo a vantaggio dei beneficiari: in sostanza dico ai miei figli come dovranno usare i soldi che riceveranno o vincolo il trasferimento ad alcuni obiettivi. Ad esempio, concedo loro una rendita vitalizia; oppure decido di svincolare parte del patrimonio solo per l'acquisto di una casa o solo al verificarsi di una determinata condizione, come laurea, matrimonio, nascita di un figlio, malattia. Queste finalizzazioni sono contenute nella letter of whishes».
Attorno a questo documento si costruisce l'intero impianto del trust. E dalla cui complessità dipenderanno i costi di costituzione e gestione. «Che cambiano decisamente se si prevede un semplice trasferimento di liquidità oppure la cessione di un'azienda con vincoli di governance – spiega Ragaini –.
In percentuale i costi di gestione variano dallo 0,5 all'1% sul patrimonio, con un minimo di 1.000, 1.500 euro per i trust più piccoli». Non esiste un limite minimo di patrimonio, ma nel caso di Banca Cesare Ponti, il trust più piccolo vale mezzo milione. E in ogni caso «è opportuno che il trust sia dotato di una provvista di beni che consenta il sostenimento dei costi di gestione e il perseguimento delle sue finalità», dice Raffaella Sarro, ad di Esperia Trust Company. «I clienti tipo – precisa – sono accomunati da un'unica esigenza: affidare a un trustee professionale i loro patrimoni al fine di proteggerli, mantenerne l'unitarietà e trasmetterli ai beneficiari da loro designati. Mentre l'utilizzo che se ne fa spazia dalla tutela di patrimoni al passaggio generazionale di beni e aziende familiari fino ad arrivare all'assistenza di soggetti deboli e alla realizzazione di scopi benefici». Le fattispecie sono dunque due, come specifica Ragaini: «La cessione di aziende con governance blindate affinché sopravvivano all'azionista di controllo e alla destinazione di rendite a parenti, per scopi di assistenza o per evitarne il dissipamento».
Il trust si può usare anche per segregare il patrimonio, in virtù di rischi professionali che comportano certe attività delicate come quella del medico. E infine c'è l'uso furbetto, quello fiscale. «In passato, come risulta dalle cronache –ricorda Sarro - i trust esteri sono stati impropriamente utilizzati sia da cittadini esteri che italiani per scopi non leciti, così favorendo lo sviluppo di preconcetti negativi sullo strumento». Nell'ultima edizione dello scudo fiscale c'è stato un uso smodato del «trust ciclostile – precisa Ragaini – una struttura giuridica che consentiva uno spossessamento fittizio del patrimonio, con l'intestazione a un trustee o a una fondazione, per non pagare le ritenute». Con la voluntary disclosure, che prevede un rientro in chiaro dei patrimoni verso l'Agenzia delle Entrate, questo non accadrà più. Anzi.
«La nuova legge sul rientro dei capitali – conclude Sarro – avrà sicuramente una funzione incentivante sia per il rimpatrio di trust interposti già precedentemente istituiti all'estero sia per l'istituzione di nuovi trust aventi quale dotazione i capitali rientrati. Dobbiamo, inoltre, ricordare che esistono molti trust regolarmente istituiti da italiani all'estero e gestiti da trustee professionali stranieri nel rispetto delle leggi, per i quali è sempre più diffusa la prassi di richiedere consulenza a un trustee italiano per il trasferimento degli stessi in Italia».