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Un tris di export, efficienza e ricerca

«Emozionato? Beh direi, non capita tutti i giorni». Aldo Peretti ha ragione. Non è consueto avere Regina d'Inghilterra e Duca d'Edimburgo all'inaugurazione di un proprio impianto. Alla veneta Uteco, produttrice di macchinari per la stampa nel settore del packaging il "colpaccio" è però riuscito, con la Corona inglese a presenziare in Galles all'avvio di una nuova linea di produzione di carte da regalo.

Commessa da oltre due milioni di euro che si aggiunge agli ordini piazzati da Uteco in mezzo mondo, capaci di spingere i ricavi aziendali al record storico di 105 milioni, il doppio rispetto al 2008, con prospettive di crescita a doppia cifra sostenute dall'assunzione di una ventina di nuovi ingegneri negli ultimi mesi. «Come ci riusciamo? Direi in tre modi – chiarisce l'amministratore delegato - e cioè export, ricerca, efficienza». Tre linee strategiche che, in fondo, sono la chiave di volta per comprendere la "resistenza" della meccanica nazionale davanti ai colpi della crisi, una forza costruita soprattutto sulla crescente propensione internazionale del comparto.

Se infatti in media, come registra l'Istat, per la manifattura italiana la quota di export sulla produzione è pari al 32%, tale rapporto sale al 51% per il comparto classificato come "fabbricazioni di macchinari e apparecchiature", con punte del 90% per numerose categorie dei beni strumentali. Un risultato essenziale per le imprese e per l'intero sistema produttivo nazionale, con l'export di beni strumentali arrivato a sfiorare 130 miliardi di euro, un terzo del totale, in grado di generare il maggiore avanzo commerciale di tutte le categorie produttive, poco meno di 50 miliardi di euro lo scorso anno. E di fronte alla lunga caduta del mercato interno, ormai in discesa ininterrotta da tre anni e con qualche segnale di risveglio soltanto negli ultimi mesi, non stupisce che tra le aziende meccaniche siano proprio quelle a maggior vocazione internazionale ad aver realizzato le performance migliori, in molti casi arrivando a risultati record.

A livello distrettuale, ad esempio, il 2013 è stato l'anno d'oro per il packaging emiliano, capace di esportare quasi 2,5 miliardi in macchinari. Ma la crescita internazionale della meccanica lo scorso anno è stata corale, con vendite oltreconfine più toniche per i principali distretti nazionali, dalla metalmeccanica di Lecco al valvolame bresciano; dalla meccatronica barese alla termoelettromeccanica friulana. Per tutti vale la regola della ridotta dipendenza dal mercato interno, che scendendo a livello di singola azienda in qualche caso tende ad azzerarsi del tutto. Un esempio in questo senso è la brianzola Oeb Brugola, leader mondiale in viti ad alta tecnologia per le testate dei motori d'auto, azienda in grado di arrivare al massimo storico di vendite raddoppiando i livelli pre-crisi (e con un target 2014 ancora in crescita verso i 130 milioni di euro), contando esclusivamente sull'export, che vale esattamente il 100% dei ricavi. Tutto facile dunque? Per nulla.
I mercati esteri non rappresentano infatti un Eldorado a portata di mano, ma richiedono sempre investimenti in tempo, risorse finanziarie, persone. In sintesi, dimensioni adeguate. Avere le spalle larghe consente infatti non solo di poter dedicare un numero sufficiente di manager al presidio dei mercati esteri ma permette inoltre di strutturare uffici tecnici robusti, in grado di promuovere l'innovazione necessaria per aggiudicarsi le commesse nel mercato globale. Non a caso, anche nel settore dei macchinari, il valore aggiunto prodotto da ciascun addetto cresce in modo inesorabile al lievitare della stazza aziendale: 35mila euro nelle aziende fino a 9 dipendenti, più del doppio per i "big" da oltre 250 unità.

Istruttivo in questo senso è l'evoluzione recente di Same Deutz-Fahr, colosso nazionale dei macchinari agricoli da 1,2 miliardi di ricavi, che tuttavia si confronta con concorrenti globali di stazza ben più ampia. La scelta del gruppo di Treviglio è stata quella di rinnovare completamente la gamma dei modelli puntando fortemente sull'innovazione. Strategia alimentata da un raddoppio del livello degli investimenti rispetto al quinquennio precedente (67 milioni di euro nel solo 2013, 300 milioni previsti in 5 anni) con un massiccio rafforzamento del reparto di ricerca, arrivato ora a 240 unità tra tecnici e progettisti, 60 in più rispetto alle dimensioni del 2010. Investimenti che hanno spinto l'azienda al record storico di ricavi e redditività, permettendo a ciascuno dei 1.355 addetti del sito di Treviglio, sede centrale del gruppo, di incassare un premio di risultato 2013 che sfiora i 5mila euro.

Le previsioni dei prossimi mesi nella meccanica vedono un quadro ancora contradditorio, con le prospettive dell'export extra-Ue complicate da crisi internazionali e svalutazioni interne (vedi Russia, India e Turchia) e una ripresa europea che ancora si manifesta a macchia di leopardo. Scenario non agevole all'interno del quale, tuttavia, si intravede uno spiraglio sul mercato italiano: dopo quattro trimestri consecutivi in apnea, gli ordini interni registrati da Ucimu per le macchine utensili rimbalzano in modo vistoso. «Ora per star dietro alla domanda dobbiamo correre – confessa l'imprenditore piemontese Mauro Biglia – e del resto è l'unico modo per non passare commesse ai tedeschi». E con ordini più che raddoppiati – questa in fondo è la notizia più confortante – l'azienda adesso assume.

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