Impresa & Territori IndustriaL'incognita Mondiale (e nazionale)
L'incognita Mondiale (e nazionale)
di Dario Ricci | 20 maggio 2014
Torna a casa, il pallone. Sì, perché se è vero che furono gli inglesi a portarcelo, il football, in Sudamerica, sono stati poi loro, i brasiliani (insieme ad argentini e uruguagi), a sublimarlo, esaltarlo, a farne straordinario melodramma popolare. E melodramma tutto sudamericano fu il maracanazo, il clamoroso epilogo dei Mondiali 1950, la prima volta della Coppa del Mondo in Brasile, con i 200mila del Maracanã ammutoliti dai gol di Schiaffino e Ghiggia, che regalarono il Mondiale all'Uruguay. In un limbo lungo più di un decennio precipitò, da quel Mondiale in poi, il nostro calcio.
La Nazionale che in Brasile difendeva i due titoli vinti nel 1934 e nel 1938 dai ragazzi di Pozzo, naufragò come quei palloni che a più riprese gli azzurri calciarono in mare dal ponte del transatlantico che li aveva portati dall'Europa al Brasile via Oceano: troppo recente il dolore della tragedia del Grande Torino a Superga per rischiare un volo aereo intercontinentale.
Sbarchiamo in Brasile 64 anni dopo con il titolo (platonico) di vicecampioni d'Europa e con il timone azzurro saldamente nelle mani di Cesare Prandelli. Il cittì ha dato nuovo significato civile a quella maglia che ambisce a far sentire tutti uniti gli italiani, ma all'estero oggi l'immagine del nostro calcio è soprattutto quella negativa offerta in occasione della recente finale di Coppa Italia.
Momento tra i più critici e quindi, per paradosso, tra i più adatti perché la Nazionale dia il meglio, come accaduto nel 2006, con il fiore del Mondiale sbocciato nel fango di Calciopoli. Ben vengano le favole calcistiche, ma senza far dimenticare che il nostro è un football da bonificare e rifondare.
Se favola a lieto fine sarà, quella di Prandelli e dei suoi calciatori, certo parte da premesse non favorevoli, con un girone durissimo nella prima fase, a giocarsi la qualificazione con inglesi e uruguagi (cioè Rooney e Cavani, per capirci...) e senza poter sottovalutare la Costa Rica, che a queste latitudini qualche grattacapo potrebbe crearlo. Perché in un Mondiale sparpagliato su un Paese-Continente, l'asse geografico di riferimento è l'Equatore; avvicinarsi a quella linea vuol dire trovare i veri rivali da battere: caldo, umidità, disidratazione, fatica, gambe molli e cervello annebbiato.
Per questo fanno venire i brividi la sfida inaugurale contro l'Inghilterra del 14 giugno a Manaus, ultimo avamposto prima dell'Amazzonia, e "i mezzogiorno (o poco più...) di fuoco" che ci aspetteranno poi con Costa Rica (20 giugno a Recife) e Uruguay (il 24 a Natal). Prandelli lo sa e ha fatto una scelta logistica rischiosa (ritiro a Mangaratiba a 100 km da Rio, luogo tranquillo con campo d'allenamento a portata di mano, però condizioni climatiche diverse da quelle in cui giocheremo) ma che se si rivelerà azzeccata darà i suoi frutti.
Anche il gioco impostato dal cittì è pensato per le caratteristiche di questo Mondiale: possesso palla e centrocampo "manovriero", capace di dettare il ritmo e ottimizzare gli sforzi. Basterà per vincere? Per giocarsela sì.
Per far festa al Maracanã bisognerà chieder spazio al Brasile di Neymar, o alla Spagna campione in carica e due volte consecutive regina d'Europa, o all'Argentina di Messi, o alla Germania che non sbaglia (quasi) mai certi appuntamenti. Poi c'è l'Olanda finalista in Sudafrica nel 2010 e outsider come Belgio, Colombia, Francia e il Portogallo di Cristiano Ronaldo.
Team e campioni che dovranno conquistarsi la ribalta facendosi largo tra le contraddizioni di questo Mondiale, nel Paese delle dure proteste già iniziate lo scorso anno durante la Confederations. Un Mondiale pensato per le tv ma che presenterà difficoltà logistiche enormi; un possibile ponte verso il futuro, ma in vista del quale l'Ente brasiliano per l'energia elettrica ha preannunciato che almeno 4 dei 12 stadi della rassegna sono a rischio black-out, e che in almeno 6 la rete Internet non funzionerà. Intanto il Cio già trema nel vedere i ritardi accumulati da Rio de Janeiro in vista delle Olimpiadi del 2016. Più che un Mondiale, quindi, per il Brasile sarà un esame di maturità, da passare a tutti i costi.