Impresa & Territori IndustriaScegliere bene? È un'arte
Scegliere bene? È un'arte
di Angela Vettese | 28 maggio 2014
Uno dei volti della finanza creativa: questo è, una parte dell'arte contemporanea.
Il suo lato ideale non è morto, ma si è reso radicale un doppio binario su cui l'arte viaggia da sempre: anche secoli fa vi era una distinzione tra l'arte concepita per la vendita e quella che poteva prescinderne. Dagli anni 80, e in misura maggiore dal Duemila, questi ambiti si sono ancor più divaricati. Ma costruire un successo commerciale chiede la concordanza di variabili sofisticate e non si fa a tavolino. La qualità dell'opera è importante. Chi sceglie non ha motivo per non ricercare il meglio, data l'enormità dell'offerta.
L'artista su cui puntare deve affrontare temi rilevanti, il che legittima l'autore presso gli opinion maker. Il linguaggio deve essere innovativo, pur nell'ambito di tecniche non deperibili: vanno bene quadri e sculture, magari camuffati da installazioni, ma anche oggetti o fotografie. Video e performance vanno forte nel mondo delle mostre ma non nei prezzi, dove tra i numeri uno troviamo sempre un pittore-pittore come Gehrard Richter, uno scultore come Franz West, un produttore di arazzi come Alighiero Boetti. L'artista deve essere affidabile. Poi c'è la provenienza geografica non tanto dell'autore, quanto delle gallerie che se ne occupano: vendono bene solo quelle che possono contare su un retroterra ricco, come Germania, Gran Bretagna, Usa, Cina, e sull'artista devono convergere le attenzioni di almeno tre venditori importanti.
Anche l'assenso dei critici, magari espresso nella sezione "proposte" di una fiera importante come Art Basel, conferisce un imprimatur necessario. Il momento della verità è sempre l'asta, quando si vede se c'è davvero richiesta. Non senza rete, però: da sempre c'è il prezzo di riserva sotto il quale l'opera va invenduta; ora c'è anche il garante, un inedito mediatore disposto a comprare per non "bruciare" l'opera, nonché la stessa casa d'asta che talvolta è disposta a investire, creando una nuova sovrapposizione tra mercato primario e secondario. Solo passando da queste maglie si arriva a un investimento in beni mobili, quasi esentasse e facilmente alienabili.
L'arte contemporanea si presta alla speculazione più dell'antica perché rende possibile individuarne gli autori, utilizzarne l'ambizione come motore, governare la quantità del flottante. Per tutto questo, la regola per chi vuole comprare per far soldi è sempre informarsi e mai quella del gusto individuale. Chi compra ciò che gli piace fa un bel gesto ma non ci guadagna. Per le proposte invendibili, giochi d'altra natura come l'arte del tutto immateriale, quella legata alla scienza, le collaborazioni con la danza o la musica, le opere di giovani che provengono da Paesi marginali tra cui l'Italia, resta il piacere del fare e del pensare. C'è a chi basta.