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L'inchiesta / Manifattura al bivio

23 luglio 2014

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Impresa & Territori IndustriaLe raffinerie e l'indotto arrancano

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Le raffinerie e l'indotto arrancano

La raffineria di Gela (Caltanissetta) è sui giornali perché l'Eni vuole ristrutturare gli impianti. La prospettiva è chiusura, temono i sindacati. Il presidente dell'Unione petrolifera, Alessandro Gilotti, ammoniva pochi giorni fa: non solo Gela, tutte le raffinerie italiane sono a rischio chiusura. Settemila persone senza lavoro, altrettante dell'indotto interno delle raffinerie, incalcolabile l'indotto delle forniture.

Il settore della raffinazione ha crisi cicliche, come avveniva due secoli fa agli esordi della rivoluzione industriale con l'industria tessile: per alcuni anni le raffinerie raccolgono gli utili superlativi che permettono di superare gli anni successivi di passività profonde.
Sono i soliti anni di magra con cui le 12 raffinerie italiane sopravvivono sugli incassi orgogliosi del periodo precedente? Pare di no. Lo scenario del petrolio in pochi anni è stato sconvolto da tre fenomeni. Nuove tecnologie di estrazione, la crescita dei Paesi di nuova industrializzazione, il calo dei consumi italiani.
Il quadro viene dall'elenco degli impianti italiani di lavorazione del greggio. Le raffinerie di Mantova (la Ies comprata dall'ungherese Mol), di Roma (TotalErg) e di Cremona (la libica Tamoil) sono divenute depositi di prodotti raffinati altrove. Metà dei poli produttivi rimasti hanno dimensioni marginali. Hanno taglia internazionale solamente Sannazzaro (Pavia) dell'Eni, Augusta (Siracusa) dell'ExxonMobil, l'Isab di Priolo (Siracusa) già dell'Erg e oggi della russa Lukoil, Milazzo (Messina) della kuwaitiana Q8 e la Saras di Sarròch (Cagliari) della famiglia milanese Moratti. Ma nemmeno questi complessi maggiori sono al riparo. Questa mezza dozzina di raffinerie di taglia L si confronta nel mondo con concorrenti ormai di taglia XXL e ai confini italiani perfino la svizzera Petroplus, il più grande raffinatore europeo indipendente, si è arresa.

Il fatto è che l'Europa, in generale il bacino del Mediterraneo ma, fra tutti, in particolare l'Italia sono sempre stati fortissimi raffinatori di greggio altrui. L'Italia trasformatrice, l'Italia intermediaria fra Paesi produttori e Paesi consumatori, esiste anche in un segmento produttivo globalizzato da quando John David Rockefeller nel 1870 fondò la Standard Oil (l'S.O. diventata Esso, cioè l'Exxon Mobil di oggi). Fino a pochi anni fa a Priolo, a Sarròch e nelle altre raffinerie italiane arrivavano dal tutto il mondo petroliere cariche di greggi intrattabili; partivano per tutto il mondo, e soprattutto per gli Usa, petroliere cariche di benzina, gasolio, cherosene per aerei e altri prodotti raffinati. Con le benzine italiane marciavano sulle autostrade americane i grandi motori a v delle macchinone e gli immensi due-tempi dei truck.

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