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L'inchiesta / Manifattura al bivio

23 luglio 2014

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Impresa & Territori IndustriaL'anno d'oro del Made in Italy negli Usa

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L'anno d'oro del Made in Italy negli Usa

Cresciamo. E siamo più competitivi. Termini "rari" di questi tempi parlando di economia italiana, ma del tutto reali guardando a ciò che sta accadendo alle nostre merci negli Stati Uniti. I dati dell'export tricolore verso Washington evidenziano il nuovo record di vendite, una crescita superiore al 6% tra gennaio e maggio che proietta per fine anno un valore assoluto di oltre 28 miliardi di euro, il top di sempre. I numeri Istat si fermano a maggio ma quelli del dipartimento del commercio statunitense sono già arrivati a giugno, mese in cui il bilancio migliora ancora, con un aumento in dollari delle nostre vendite che sfiora il 20%, mezzo miliardo di dollari in più rispetto allo stesso mese dell'anno precedente.

Uno sviluppo trainato certo dalla ritrovata forza dell'economia statunitense, capace di crescere al tasso siderale del 4% e di abbattere la disoccupazione al 6,2%, meno della metà rispetto all'Italia, con l'effetto congiunto di spingere sia gli acquisti di beni strumentali che quelli di prodotti di consumo. Dai macchinari al lusso, dallo stile ai prodotti alimentari, dal design al vino, si tratta di aree in cui il Made in Italy non solo aumenta le vendite in valore assoluto ma è anche in grado di conquistare spazi crescenti rispetto alla concorrenza, come testimoniano le ultime statistiche di Washington. Mentre la quota di mercato italiana sull'export mondiale scivola inesorabilmente verso il basso per la pressione dei paesi emergenti e dell'Asia (dal 3% del 2010 al 2,8% odierno) negli Usa il percorso è esattamente opposto, con lo share del made in Italy che proprio a partire dal 2010 ha iniziato a crescere costantemente, passando dall'1,45 all'1,68% del 2014. Piccoli numeri, si dirà. Che tuttavia, viste le dimensioni monstre degli acquisti Usa (2239 miliardi di dollari nel 2013) nascondono volumi ingenti, oltre due miliardi di dollari su base annua per ogni decimale di punto guadagnato, cifre che tradotte in singole commesse sono in grado spesso di rappresentare il crinale tra lo sviluppo e il declino per gran parte delle aziende. Lezione che per la verità l'Italia ha compreso da tempo, portando gli Stati Uniti a diventare il terzo mercato di sbocco dopo i "vicini" di casa Germania e Francia.

Un percorso corale che secondo le ultime statistiche dell'Istat coinvolge - nella fascia oltre i 50 milioni di ricavi - quasi un migliaio di imprese, in grado di generare per il sistema-Paese un avanzo commerciale determinante. Il surplus generato con gli Stati Uniti è infatti il maggiore registrato dall'Istat e nei primi 5 mesi del 2014 ha già raggiunto i 6,5 miliardi di euro, poco meno della metà dell'attivo globale legato alle merci italiane.

Sulla base dei dati della prima metà dell'anno, che vedono una crescita delle nostre vendite negli Usa superiore al 6%, è possibile stimare per fine anno un controvalore di 28,7 miliardi, quasi due miliardi in più rispetto al 2013, che già rappresentava un livello record. Una corsa tanto più importante anche perché isolata, all'interno di un quadro globale che vede un magro progresso dell'1,3% per le esportazioni italiane nel mondo nel 2014, addirittura un calo vicino ai due punti se si restringe lo sguardo ai paesi extra-Ue, afflitti da crisi geo-politiche (Russia, Medio Oriente), svalutazioni (Turchia), rallentamenti della domanda interna (India, Giappone).

La "fame" di Made in Italy è invece ancora del tutto presente negli States, anche in termini "visivi" osservando la lunga teoria di monomarca italiani per le vie principali di Manhattan. Un successo che però non è limitato a stile e design e che tradotto nei numeri Istat significa nel 2014 una crescita del 6,4% di vendite per i mobili, del 6,8% per alimentari e bevande, di quasi dieci punti per abbigliamento e tessile, di un rotondo 16% per macchinari e apparecchiature, seconda maggiore voce di esportazioni italiane negli Usa dopo i mezzi di trasporto.

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