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Quelle facce ancora da scoprire della città (non solo) dell'Ilva

Un anno fa Taranto era in corsa per la selezione a Capitale europea della cultura per il 2019. Nell'ambito della Puglia, sfidava Lecce ma la sua corsa si è fermata quasi subito: fuori dai capoluoghi ammessi all'esame finale superato poi da Matera. Eppure quella candidatura, in realtà mai decollata, ha espresso qualcosa di più profondo e sentito: l'ambizione di Taranto, anche se non supportata da scelte e progetti coerenti, a voltare pagina e a non essere più vista solo come la città dell'Ilva. Peggio: come la città devastata dalle polveri e dall'inquinamento del siderurgico. Con Puglia Promozione, la Regione ha cercato di riscattare l'immagine di una Taranto ferita nell'ambiente e segnata dalle malattie, ma non si può dire che lo sforzo sia riuscito. Primo perché l'impatto delle vicende negative supera ogni tentativo di valorizzazione, secondo perché la città non sembra credere con la forza che sarebbe necessaria nelle sue potenzialità e risorse.

A febbraio scorso Confindustria tenne un convegno a Taranto con l'obiettivo di avviare un'operazione rilancio della Città vecchia. L'antica Isola tra Mar Grande e Mar Piccolo connessa al resto dell'abitato da due ponti (quello girevole e quello di pietra). Un dedalo straordinario tra vicoli, slarghi, salite, palazzi prestigiosi, chiese importanti e affacci sul mare. Ma purtroppo anche un'area urbana colpita dal crollo degli stabili fatiscenti, dal degrado che avanza, dall'impoverimento sociale e demografico, dall'assenza di servizi e dalla legalità a rischio. L'idea di Confindustria era semplice: mettere insieme privato e pubblico - che nella Città vecchia controlla la maggioranza del patrimonio edilizio -, avviare restauri e ripristini e dare all'Isola un nuovo respiro. Le premesse da cui partire: l'insediamento nella Città vecchia dell'Università; l'avvio di una serie di attività commerciali; l'interesse turistico per il Castello aragonese della Marina che, aperto al pubblico da alcuni anni, ha avuto oltre 400mila visitatori dal 2005 a settembre scorso, di cui 206mila provenienti dal resto d'Italia e 38mila stranieri. Il Castello è ad una delle due estremità della Città vecchia, eppure questo flusso non viene colto per un rilancio dell'Isola. «Abbiamo provato a mettere la Città vecchia al centro della ripresa di Taranto, la Regione era disponibile a darci una mano, ma l'azione del Comune di Taranto si è rivelata assolutamente insufficiente» spiega Alessandro Laterza, vice presidente di Confindustria e promotore del convegno di febbraio.

È di alcune settimane fa la lettera che il governatore della Puglia, Nichi Vendola, ha inviato al sindaco, Ezio Stefàno, invitandolo ad accelerare la spesa di risorse destinate a due complessi storici (Troylo e Carducci) per non dover restituire a Bruxelles 6 milioni di fondi Urban. «È nostro interesse non perdere i fondi, ci stiamo attrezzando con i bandi e rispetteremo la scadenza finale di dicembre 2015» assicura il sindaco, che cita la sottoscrizione dell'accordo Regione-Comune per palazzo Troylo che, con una spesa di 3,6 milioni, diverrà comunità alloggio e centro di servizi sociali.

Ma un altro “asset” culturale importante di Taranto è il Museo archeologico nazionale, con Napoli e Reggio tra i più importanti del Sud, riferimento della civiltà e della storia della Magna Grecia di cui Taranto fu espressione. In primavera sarà inaugurata l'ultima ala del Museo, ampliando e arricchendo di collezioni e di reperti il fronte espositivo. Ci sarà anche una copia perfetta - perché realizzata con tecniche moderne - della statua tardo arcaica di Persefone, conservata nell'Altes Museum di Berlino e rinvenuta a Taranto nel corso di uno scavo condotto nel 1912. «Il Museo di Taranto è straordinario - dice Laterza - ma fa numeri irrisori. Sul Museo, invece, bisogna fare un grande investimento uscendo dal perimetro locale e provando a intercettare sia i flussi del turismo del Salento che l'effetto di Matera capitale della cultura».

«Non è vero che Taranto è solo Ilva, abbiamo risorse importanti ma siamo offuscati dall'Ilva» sostiene Antonio Prota, che con il Gal Colline Joniche ha puntato sul progetto Green road, che unisce cicloturismo e promozione di agricoltura, commercio e artigianato locale. Invece Università e Politecnico di Bari, insieme ad Arpa Puglia e Cnr, provano a specializzare la loro presenza a Taranto con il Polo scientifico e tecnologico “Magna Grecia” da poco inaugurato con un finanziamento Pon di 9,5 milioni. Obiettivo: fare ricerca ambientale, formare nuove professionalità, aiutare le imprese nella riconversione. Bonifiche, trattamento dei rifiuti, filiera del riutilizzo e monitoraggio elettromagnetico tra i campi di attività. «Prima che scoppiasse il caso Ilva intuimmo l'emergenza - dice il prorettore dell'Università di Bari, Angelo Tursi - e abbiamo provato a capovolgere il paradigma di Taranto “città inquinata-città da abbandonare” con un polo di scienza».

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