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Tutti in attesa della voluntary

Rispetto alla voluntary disclosure si può dire che da parte del settore del private banking c'è un atteggiamento di vigile attesa. La regolarizzazione dei patrimoni tenuti all'estero, nell'edizione “voluntary”, rispetto agli scudi fiscali degli anni scorsi, vede un ruolo molto più defilato degli intermediari finanziari.

Le novità
In occasione degli scudi infatti, la banca interveniva nei conteggi, nella liquidazione dell'imposta sostitutiva, nella dichiarazione riservata. Ora invece con la voluntary, nel triangolo tra agenzia delle Entrate, risparmiatore e professionista che assiste questo ultimo, la banca non interviene direttamente. Si trova invece a valle del processo di regolarizzazione, quando disponibilità, probabilmente cospicue (dati i numeri di cui si parla anche per i patrimoni italiani nascosti all'estero), saranno scongelate e disponibili per essere investite. Al momento però con le regole ancora non perfettamente definite (sono ancora sotto l'alea della discussione parlamentare, anche se non sono escluse accelerazioni, magari con l'inserimento nella legge di Stabilità), soprattutto l'intreccio con le norme sul riciclaggio, inducono il mondo soprattutto del private bankng a una grande prudenza su questo tema. Anche perché a differenza dell'effetto chiaro di protezione dello scudo in campo penale, lo stesso effetto - al momento – non è chiaro per la disclosure.

Le conseguenze
Quelle che possono essere per il sistema bancario le conseguenze della voluntary, sono bene illustrate da Alessandro Dragonetti, Head of Tax Bernoni Grant Thornton: «Le risorse che saranno liberate con l'adesione dei risparmiatori alla voluntary, saranno pronte per una serie di impieghi importanti. Per esempio ora che tornano in chiaro queste somme, si potrà pensare al passaggio generazionale, per finanziare l'attività d'impresa o per investimenti che confluiranno nei portafogli dei clienti. Si aprono spazi, oltre che per le banche, anche per molti altri professionisti». Una filiera del “chiaro” che spiega il favore di fondo con cui vedono l'operazione molti banker, ma con la spada di Damocle degli effetti penali non ancora tolta dal tavolo.

Professionisti al lavoro
Dalle indicazioni raccolte tra gli operatori emerge che banche e studi professionali si sono portati molto avanti sull'aspetto strettamente fiscale, creando fascicoli relativi ai clienti, ricostruendo le attività e i movimenti da dichiarare al fisco, facendo già delle stime dei costi. Prima di muoversi però si aspetta che sia chiaro il quadro di riferimento, anche perché molti dei potenziali interessati sono molto titubanti davanti alla possibilità di dichiarare qualcosa che possa creare loro problemi dal punto di vista penale. Coloro che hanno somme da regolarizzare si chiedono quindi se la disclosure si possa trasformare in un vero e proprio cappio. Una domanda legittima. Carlo Galli, socio dello studio legale internazionale Clifford Chance e responsabile del dipartimento tax spiega: «Nel caso della disclosure, oltre al nostro lavoro tecnico, a volte ci tocca dare un supporto anche “psicologico” a chi ha un patrimonio da regolarizzare anche per affrontare adeguatamente l'aspetto penale. Anche perché siamo convinti, dal punto di vista deontologico, che la regolarizzazione sia una scelta giusta. D'altro canto la trasparenza a livello globale sta conoscendo delle accelerazioni che non erano immaginabili qualche anno fa. Molti dubitano - magari mal consigliati - che questo processo si realizzi in tempi brevi, ma c'è stata un'evidente accelerazione e se ci saranno dei rallentamenti, sicuramente non si fermerà».

Un mondo trasparente
E Luca Rossi, dello studio Facchini Rossi e associati, precisa: «Ormai il mondo dell'anonimato e del segreto bancario sta finendo per sempre e la voluntary disclosure è l'ultima occasione per rientrare nella legalità. L'emersione di asset esteri è inoltre un'occasione per clienti e operatori di wealth planning (banche, fiduciarie, assicurazioni, family office) per una pianificazione e riorganizzazione dei patrimoni nel rispetto della legge». Perdere il treno della voluntary significa «vedere - afferma Galli – allontanare il proprio denaro, in luoghi sempre più lontani, perdendone di fatto il controllo e rendendolo difficile da utilizzare quando ce ne fosse l'esigenza». La casistica delle situazioni che possono essere interessate alla regolarizzazione è piuttosto ampia e non sempre è legata a un'evasione fiscale. «C'è chi magari aveva costituito una parte (rilevante) del patrimonio all'estero, come riserva precauzionale rispetto a possibili rovesci della situazione economica o politica italiana. In molti casi chi lo ha costituito - commenta Galli - è ormai avanti negli anni e ora è disposto a farlo rientrare». Oltre a questi ci sono soggetti che hanno fatto violazioni delle regole del monitoraggio fiscale (quadro RW) come nel caso dei frontalieri o di persone che hanno trasferito la loro residenza in Italia e non hanno pensato a mettere in regola con il fisco italiano beni che già avevano all'estero.

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