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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2014 alle ore 06:38.

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TORINO
Arriva alle 9 di sera la sentenza della Cassazione nel processo Eternit. I giudici hanno annullato la condanna a 18 anni per disastro ambientale per Stephan Schmidheiny, a capo della multinazionale elvetico-belga specializzata nelle lavorazioni con l'amianto. Reato prescritto, già in primo grado, dicono i giudici. La decisione è arrivata dopo una camera di consiglio durata poco più di due ore e dopo che la stessa Procura generale aveva chiesto, attraverso il sostituto procuratore Francesco Iacoviello, di annullare la sentenza: il reato di disastro ambientale è prescritto, non ci sono colpevoli per una contaminazione ambientale gravissima e per le migliaia di morti causate dalle patologie legate all'esposizione all'amianto. E così cadono anche le richieste di risarcimento per circa 90 milioni di euro accolte in appello.
Un risultato straordinario per il collegio di difesa di Schmidheiny. Una sentenza accolta tra le urla «Vergogna, vergogna» dei familiari delle vittime, ieri in presidio a Roma in attesa della decisione dei giudici, con l'Associazione dei familiari delle vittime dell'amianto (Afeva). «La Corte – scrivono i legali di Schmidheiny in una nota – ha, così, condiviso le argomentazioni degli avvocati della difesa: Stephan Schmidheiny non ha mai assunto un ruolo operativo nella gestione delle aziende e nemmeno nel Consiglio d'amministrazione della società italiana Eternit Spa». Il gruppo svizzero Eternit SEG, diretto da Schmidheiny, aggiungono, è stato il principale azionista della Eternit soltanto per 10 anni, su 80 anni di storia aziendale. «In questo periodo – scrivono – il gruppo SEG non ha mai ricavato alcun profitto dalla sua partecipazione nella Eternit Spa, anzi, tramite aumenti di capitale e prestiti azionari, ha consentito alla società italiana di effettuare enormi investimenti pari a circa 75 miliardi delle vecchie lire al fine soprattutto di migliorare la sicurezza degli stabilimenti».
«Aspetto di leggere la sentenza» commenta a caldo il pm Raffaele Guariniello, il magistrato che ha coordinato le indagini della procura di Torino. Per Sergio Bonetto, che ha difeso i familiari di 400 parti lese, l'Associazione italiana esposti amianto (Aiea) e l'Afeva, «si tratta di una sentenza che assume tutti i limiti legati alla prescrizione di un reato come il disastro ambientale. Ora si dovrà ricominciare dall'Eternit bis, l'inchiesta in capo alla procura di Torino per omicidio colposo sulle morti causate dall'esposizione all'amianto».
Il 3 giugno 2013 era arrivata la condanna in appello per Schmidheiny, rimasto l'unico imputato del processo dopo la morte Jean-Louis de Cartier de Marchienne, condannato in primo grado. Tutta l'inchiesta della procura di Torino aveva ruotato intorno al reato di disastro ambientale permanente, per i siti di Casale Monferrato, Cavagnolo, Bagnoli e Rubiera. Configurazione di reato che non ha retto al terzo grado di giudizio. Lasciando forse un vulnus come sembra chiaro dalle stesse parole del sostituto procuratore generale Iacoviello: «Per reati come il disastro "silente" o "innominato" come quello delle morti per amianto che ha una latenza di decenni, o per l'omicidio stradale servono nuove leggi e l'intervento del legislatore perché non sono più gestibili con le categorie di reato tradizionali».

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