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La corsa al lusso ha perso velocità

Gli aumenti a due cifre di fatturati e utili degli scorsi anni molto probabilmente non si registreranno più. Ma il settore dell'hard luxury – così gli analisti chiamano la gioielleria e l'orologeria di lusso – continuerà a crescere, in un modo forse addirittura più sano che in passato, certamente più sostenibile. A una cifra, in altre parole. È quanto emerge dall'Altagamma worldwide markets monitor 2014, curato da Bain&Company e presentato un mese fa a Milano, un utile consuntivo dell'anno che sta per chiudersi e bussola privilegiata per orientarsi nel 2015.

Al comparto dell'hard luxury è riconducibile il 22% dei consumi di beni di lusso personali (le altre categorie principali sono accessori, abbigliamento e beauty), pari a 49,06 miliardi di euro su un totale di 223 miliardi. La crescita attesa per il 2014 è dell'1%, mentre nel 2013 era stata del 2%. Gli orologi sono i tre quarti circa dell'hard luxury e valgono circa 35 miliardi di euro, mentre ai gioielli sono riconducibili i restanti 14 miliardi. «Le vendite di orologi nel 2014 sono rimaste stabili rispetto al 2013, mentre quelle di gioielli sono cresciute del 4% – spiega Claudia D'Arpizio, partner di Bain e autrice dell'annuale Monitor di Fondazione Altagamma –. L'andamento piatto degli orologi è legato alla performance negativa dei mercati asiatici, che però è stato compensato dal trend positivo negli Stati Uniti, in Medio Oriente e in Giappone».

Molte aziende hanno reagito al rallentamento sul mercato cinese e in altri Paesi asiatici riducendo la produzione, per paura che l'offerta eccessiva avesse un impatto sui prezzi. Un tema importante, quello del monitoraggio dei pezzi disponibili (si veda anche, a pagina 5, il parere del ceo del gruppo Rolex, Gian Riccardo Marini).

«Gli orologi meccanici si sono dimostrati più resilienti, anche nella fascia con un entry price superiore ai 2mila euro – sottolinea Claudia D'Arpizio – mentre il segmento degli orologi elettronici ha subito e continuerà a subire la concorrenza degli smartwatch, la cui offerta e sofisticazione sta aumentando velocemente (si veda anche pagina 17). Un altro trend interessante riguarda gli orologi da donna, sui quali le aziende sono tornate a scommettere e investire: i preferiti restano quelli con movimenti al quarzo, ma cresce la domanda di orologi automatici e c'è stato un vero e proprio rimbalzo per gli orologi-gioiello».

Una maison che ha scelto di investire nel segmento femminile è Bulgari (gruppo Lvmh), che il 16 ottobre ha presentato a Milano la nuova linea Lucea, frutto di 13 mesi di impegno dei maestri orologiai, che hanno lavorato a stretto contatto con gli orafi della maison. Lucea – ha spiegato il ceo di Bulgari Jean Claude Babin – è la terza collezione di segnatempo da donna, ma è molto diversa da Serpenti, fatta di orologi-gioiello, e da Bulgari Bulgari, nata da una costola di quella maschile, lanciata nel 1975. Con Lucea la maison punta a un pubblico molto più ampio, sia per età sia per disponibilità economiche: i prezzi partono da 3.500 euro per arrivare a 32mila. Anche grazie a Bulgari, del resto, il comparto Watches & Jewelry di Lvmh ha fatto meglio del mercato: nei primi nove mesi del 2014 le vendite sono arrivate a 1,972 miliardi, in crescita del 5% sul 2013 e per la maison (Lvmh non rilascia dati dei singoli marchi in portafoglio) gli analisti prevedono una crescita del fatturato 2014 a doppia cifra: i ricavi dovrebbero arrivare a 1,6 miliardi (+12% sul 2013).

A riequilibrare le vendite e la brand awareness tra orologi maschili e femminili ha pensato anche Cartier (secondo marchio al mondo del settore dopo Rolex). Due mesi fa la maison ha presentato Shape your time, un cortometraggio visibile solo online e pensato per un pubblico maschile (si veda Moda24 del 26 settembre). Francois Marc Sastre, direttore generale di Cartier per il Sudest Europa (Italia, Grecia e Turchia) sottolinea che Shape your time è nato per «ribadire che, come maison, siamo leader sia nel segmento femminile sia in quello maschile e che l'orologeria è tanto importante quanto la gioielleria». I numeri confermano le parole di Sastre: secondo gli analisti di Vontobel, i più autorevoli nel settore dell'orologeria, nell'esercizio fiscale 2013-14, il 40% del fatturato di Cartier (stimato in 4,8 miliardi di euro) veniva dagli orologi e alla maison è riconducibile il 46% dei ricavi complessivi di Richemont, il gruppo del lusso quotato a Ginevra al quale Cartier appartiene, nonché il 37% delle vendite di orologi del gruppo.

Altra strategia comune a tutti i marchi di media e alta orologeria è l'investimento nel retail (si veda anche pagina 3). Ma se a Milano via Monte Napoleone e via Spiga – la strade dello shopping più famose e care d'Italia – continuano ad arricchirsi di negozi di orologeria e gioielleria di lusso (nelle ultime due settimane hanno aperto ad esempio Vhernier e Marco Bicego), contando sulla presenza di turisti stranieri, i consumi di italiani continuano a calare. Secondo Federpreziosi-Confcommercio, in settembre le vendite di orologeria e gioielleria in Italia sono scese del 2,1% e la speranza è che almeno dicembre mostri qualche segnale di ripresa grazie agli acquisti natalizi.

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