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Le capitali della manifattura

12 dicembre 2014

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Impresa & Territori IndustriaLa «Leonessa d'Italia» rivede la crescita

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La «Leonessa d'Italia» rivede la crescita

La fabbrica della Palazzoli SpaLa fabbrica della Palazzoli Spa

La ripresa, a lungo invocata, ora potrebbe essere dietro l'angolo: a fine anno, nonostante la frenata di ottobre, Brescia dovrebbe chiudere con un incremento del 2,7% della produzione industriale. Dopo avere toccato il punto più basso nel terzo trimestre dell'anno scorso, il trend congiunturale ha ripreso a crescere. Nessuno, però, tra gli imprenditori, ha voglia di festeggiare. In sette anni Brescia (e il suo territorio) è cambiata profondamente.

Chi ha potuto si è internazionalizzato non solo vendendo all'estero (+3,9% l'export nei primi sei mesi, con un volume di oltre 7 miliardi), ma anche inseguendo clienti e commesse nel mondo, creando nuove unità produttive fuori dai confini nazionali.
Chi non ce l'ha fatta, però, ha dovuto arrendersi: lo testimoniano non solo le oltre 3mila aziende manifatturiere perse (su un totale di 20mila, quasi il 15%), ma anche il depauperamento di intere filiere, come quelle del tessile di base, della gomma-plastica, della calzetteria, dell'edilizia. Dal 2007 al 2013 si sono persi, nella sola industria, 30mila posti di lavoro.

La reazione, però, c'è stata. Brescia è ancora una capitale dell'impresa, anzi, come ribadiscono con orgoglio molti imprenditori del posto, Brescia è «la» capitale dell'impresa, e si candida a questo ruolo con la forza dei numeri (110 miliardi di fatturato, il 2,7% del pil nazionale e 587mila lavoratori, di cui 209mila nell'industria) riconosciuta poche settimane fa anche dal presidente del Consiglio Matteo Renzi nell'ultima, partecipatissima, assemblea dell'Aib (l'Associazione industriale bresciana), ospitata, non a caso dentro una fabbrica della città, quella della Palazzoli spa.

«In questi anni – spiega Paolo Streparava, vicepresidente di Aib con delega all'Economia e al centro studi – non siamo rimasti con le mani in mano. Abbiamo messo i soldi nelle nostre imprese e abbiamo cercato di cogliere tutte le opportunità di crescita». I dati di un recente studio commissionato da Aib confermano la patrimonializzazione dei novanta principali gruppi industriali bresciani: nel 2013 i mezzi propri hanno registrato un incremento del 4,7% sull'anno precedente. Una scelta trainata non solo dalle opportunità della Legge di stabilità, ma anche, secondo quanto sostengono gli imprenditori, dalla crescita degli utili d'esercizio nel 2013. Dell'evoluzione del patrimonio beneficiano però solo determinati settori, come l'alimentare, l'elettromeccanica e la meccanica.
Altre filiere, come quella del Sistema Moda, flettono pesantemente. «Ci sono business che qui non hanno più casa - spiega Streparava -. La calzetteria, per esempio, ha pagato la difficoltà di competere con i costi dei mercati emergenti».

In compenso, in questi anni Brescia ha dimostrato di non essere ancorata solo ai tradizionali modelli labour intensive. Ha sviluppato idee e nuove iniziative nella sensoristica, nella meccatronica, nell'elettromeccanica di precisione. O nel biomedicale. Emblematici, da questo punto di vista, i case history di Invatec – azienda attiva nella produzione di stent (tubicini in gomma da pochi millimetri utilizzati in cardiologia), protagonista di una crescita esplosiva in pochi anni e poi ceduta alla multinazionale americana Medtronic – e di Copan, realtà leader nella diagnostica (provette e tamponi per esami microbiologici), fortemente internazionalizzata, il cui fondatore, Daniele Triva, è scomparso tragicamente proprio quest'estate.

Anche i settori «core», però, hanno saputo innovare in questi anni. Andare all'estero alla ricerca di nuove opportunità di business (e non per inseguire la spirale al ribasso dei costi dei fattori competitivi) è stata la chiave di volta del successo di molte filiere (è il caso dell'automotive) in possesso di sufficienti barriere all'ingresso rispetto alla concorrenza. Queste realtà hanno saputo conservare una consistente redditività nonostante la crisi (nell'ultimo anno il margine operativo lordo delle imprese internazionalizzate è cresciuto del 7,8 %).

Oggi il 58% dei ricavi dei primi sessanta gruppi bresciani è ormai generato all'estero. Tutto questo non è andato a scapito degli headquarters. Il sistema Brescia, anzi, ne ha beneficiato. L'anno scorso, secondo un calcolo del centro studi Aib, le aziende hanno investito a Brescia 500 milioni in nuovi macchinari e tecnologie. Gli investimenti complessivi, da qui al 2020, dovrebbero raggiungere la cifra di 2,8 miliardi. L'anno come detto, chiuderà in crescita, anche se «gli ultimi mesi – ammette Paolo Streparava - non sono stati confortanti, soprattutto a causa della frenata tedesca».

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