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L’arredo italiano cerca nuove rotte

Questo 2015 potrebbe essere un anno importante per le esportazioni di arredo italiano, che dovrebbero crescere del 5% e fare un passo in avanti verso i livelli pre-crisi. Le premesse ci sono tutte: in primis il rafforzamento del dollaro sull'euro, che spinge le vendite non solo negli Stati Uniti, ma anche nei tanti mercati mondiali legati alla valuta americana, compensando almeno in parte le difficoltà dell'export verso la Russia; ma anche la diminuzione del costo del petrolio e la crescita a ritmi galoppanti delle importazioni da parte della Cina e di mercati emergenti in particolare in Asia e in Africa; senza trascurare il risveglio dell'Europa dopo anni di stagnazione. E, non ultimo, il rafforzamento del tessuto produttivo stesso che, gravemente colpito e ridimensionato dalla crisi di questi anni (che ha portato a una perdita di fatturato superiore al 30% rispetto al 2007, oltre 5mila aziende chiuse in sette anni e più di 30mila posti di lavoro perduti, secondo i dati di FederlegnoArredo), ne esce oggi con aziende più solide e strutturate, pronte a cogliere la ripresa di cui si vedono i primi spiragli.

È quindi con uno spirito di attesa e fiducia che il mondo dell'arredo italiano si ritrova oggi a Rho (Milano), per la 54esima edizione del Salone del Mobile, pronto a cogliere benefici soprattutto dal richiamo internazionale di questo grande evento. In attesa che anche sul mercato interno tali spiragli si traducano in utili per le imprese e posti di lavoro, il comparto italiano dell'arredo (oltre 30mila aziende che nel 2014 hanno prodotto un volume d'affari di 17,3 miliardi e dato lavoro a 208mila persone) punta infatti le sue carte soprattutto sui mercati esteri, dove a partire dal 2010 le vendite hanno registrato una crescita costante (in controtendenza rispetto alle vendite in Italia), superando nel 2014 gli 11 miliardi.

«Percepisco tra i miei colleghi un ritrovato ottimismo – dice Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo (Fla, l'associazione delle imprese del settore) e da quest'anno alla guida anche del Salone del Mobile – spinto soprattutto dall'ottimo andamento e dalle buone prospettive delle vendite all'estero». Prospettive che non sembrano compromesse neppure dalle difficoltà sul mercato russo. «Ci attendiamo purtroppo un calo delle presenze di buyer e operatori russi ai Saloni di Milano», dice Snaidero. Tuttavia, la geografia del mobile italiana si è arricchita ormai da tempo di nuove rotte, o ne ha ritrovate altre antiche e fruttuose, che offrono alle aziende italiane la chance di tornare a crescere negli utili e non soltanto di resistere alla crisi.

Tra tutti, il mercato statunitense (al quarto posto tra gli acquirenti del made in Italy di settore) è quello che sta dando le maggiori soddisfazioni, trainato dalla ripresa a pieno ritmo delle costruzioni e dal rafforzamento del dollaro sulla valuta europea, ma favorito anche dal fatto che molte aziende italiane dell'arredo sono presenti da tempo su quella piazza, con attività strutturate e una rete distributiva ben organizzata. Negli Usa FederlegnoArredo sta concentrando gran parte del proprio impegno per promuovere le aziende associate e aiutarle a creare contatti con gli operatori “che contano” (developer e studi di progettazione o interior design). In questa direzione va ad esempio il recente accordo con Unioncamere per l'apertura di un ufficio operativo a New York e l'avvio di iniziative a supporto delle imprese del settore.

Se cambia la geografia dell'export, devono però cambiare anche le strategie per affrontare i nuovi mercati. Individuati i Paesi con le maggiori potenzialità, occorre infatti strutturarsi e organizzare la rete distributiva sul territorio, scegliendo se puntare sul canale del retail o su quello del contract e delle forniture su progetto (mediate cioè da un professionista che fa da ponte tra produttore e consumatore finale); selezionando la tipologia di partnership e i rappresentanti locali; individuando le città in cui essere presenti e in quale forma (monobrand, multistore ecc.).

Operazioni tutt'altro che semplici e rapide, soprattutto per le aziende più piccole, che sono poi la stragrande maggioranza delle imprese del mobile. «Andare da soli, su mercati così lontani e differenti per logiche, burocrazia e cultura, non è la soluzione», spiega infatti Snaidero. Occorre lavorare molto sul marchio e sul suo posizionamento nella fascia alta di mercato, attraverso politiche di branding che molte aziende ancora non hanno, così come non tutte hanno al loro interno la figura dell'export manager, «fondamentale» secondo il presidente di Fla: «Per questo, grazie al supporto dell'Ice, abbiamo sviluppato un progetto per inserire nelle Pmi più piccole questi professionisti».

La Federazione ha inoltre intensificato per il 2015 il programma di “missioni” e attività a supporto delle proprie associate sui mercati ritenuti più promettenti: oltre agli Usa, anche il Regno Unito, la Cina e tutto il resto dell'Asia (in particolare il Sud-Est), il Medio Oriente e il Nord Africa e l'Africa subsahariana. Un mercato, quest'ultimo, dai volumi ancora piccoli ma «in cui crediamo moltissimo», spiega ancora il presidente di Fla. Il progetto più ambizioso è probabilmente quello che riguarda la Cina, dove è stata messa a punto una politica strutturata e continuativa di attività, finalizzata all'apertura di una fiera del mobile a Shanghai nel 2016, grazie anche al sostegno di un governo italiano che, conclude Snaidero, «sulle politiche di internazionalizzazione ha cambiato passo», con una serie di interventi e investimenti a sostegno dei principali settori del made in Italy, tra cui il piano speciale per l'internazionalizzazione, che prevede lo stanziamento di 261 milioni in tre anni, e quello per le fiere, da 50 milioni.

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