Ecotassa e bonus-malus entreranno in vigore il primo marzo. Quali le conseguenze sul mercato dell’auto e sulle scelte di mobilità delle aziende italiane? Il Governo ha stimato una diminuzione delle vendite di auto con emissioni di CO2 superiori ai 160 g/km di circa il 3%. Stima ottimistica, secondo molti osservatori. Nel 2018 sono state immatricolate 115mila auto con emissioni superiori a questo limite: ipotizzare di perderne soltanto 4.500 non è credibile. Perché l’ecotassa da versare all’atto della prima immatricolazione colpirà categorie di automobili che in gran parte non possono essere considerate di lusso: è un’auto da nababbi una Fiat 500L 1.4 95 CV Cross che ha un prezzo di listino di 21.550 euro? E una Hyundai Tucson 1.6 GDI da 22.750 euro? Eppure entrambe sono destinate a pagare 1.100 euro di sovrattassa.
Senza dimenticare che il crollo delle vendite di auto diesel (a gennaio -28,5%, pari a 31.000 vetture mancanti rispetto al 2018) porterà a un innalzamento della media delle emissioni delle auto vendute, perché le ibride ed elettriche rappresentano una quota minimale, mentre le benzina, in crescita, hanno emissioni di CO2 più alte. E poi un terzo elemento fa considerare esageratamente ottimista la previsione dell’Esecutivo: gli italiani sono sempre più affezionati a suv e crossover, notoriamente meno efficienti in termini di consumi ed emissioni rispetto a berline e station wagon. Difficile che l’ecotassa provochi un’inversione di tendenza.
Come varieranno invece le car policy per gli utenti di auto aziendali? Opzioni super-ecologiche a parte, che per la formula prevista dal bonus-malus premieranno solamente le vetture con emissioni inferiori a 70 g/km (cioè , a oggi, una quindicina di modelli elettrici, con 4mila euro di bonus, ma con prezzi a partire dai 25mila di una Smart, e una decina di modelli ibridi plug-in con prezzo di listino inferiore ai 50mila euro più iva, ma superiore ai 35mila del modello base della Hyundai Ioniq, la meno cara del mercato, che ha diritto a un contributo statale di 1.500 euro), le scelte si concentreranno nella “terra di nessuno” (né bonus, né malus): il limbo compreso tra i 71 e i 160 g/km. Con una precauzione da osservare con attenzione: occhio alle dotazioni di accessori a richiesta che possono aumentare il livello di emissioni di CO2 , a cominciare dalla misura di cerchi e pneumatici opzionali. Un’Alfa Romeo Stelvio 2.2 Turbodiesel 190 CV AT8 Q4, per esempio, che è proprio al limite dell’ecotassa, con una misura di cerchi più generosa (da 19” o da 20”) passerà sotto le forche caudine dell’ecotassa per 1.100 euro.
Sicuramente cresceranno gli utenti di flotta che si convertiranno all’ibrido, anche a prescindere dall’ecobonus che, come visto in precedenza, è quasi irraggiungibile, e scarsamente significativo in termini percentuali sul prezzo di listino, tanto più che pochissime aziende dispongono di un usato obsoleto (Euro 1-4) per poter ottenere un ulteriore bonus in cambio della rottamazione (1.000 euro sulle ibride plug-in e 2.000 sulle elettriche). Passare all’ibrido, però, significa fare un’analisi molto dettagliata su percorrenze e tipi di strada utilizzati: per chi passa ore al volante in autostrada, la scelta di un’auto ibrida porterà comunque a costi di gestione più elevati rispetto a una corrispondente vetture diesel. Autonomia a parte – e rete di distribuzione migliorata, ma ancora approssimativa –, il metano potrebbe costituire una scelta indicata per i macinatori di km, a patto che i costruttori mettano a disposizione dei clienti il nuovo prodotto (a gennaio le immatricolazioni di auto a metano sono crollate del 50% perché le nuove versioni Euro 6d-Temp sono in ritardo con le consegne). Per le flotte, però, il 2019 sarà un anno di transizione: prima che la rinuncia al diesel coinvolga la maggioranza della clientela business dovrà passare parecchio tempo.
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