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Perché l’Internet delle cose è la frontiera della crescita

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L'Analisi|intervento

Perché l’Internet delle cose è la frontiera della crescita

L'anno scorso la dimensione economica globale del mercato dell'IoT, l'Internet of Things, è stata valutata in 157 miliardi di dollari. Nel 2021, secondo l'agenzia Research and Markets, salirà a 661 miliardi. Il relativo tasso annuo di crescita composto (CAGR) sarà di un mostruoso 33,3 per cento. Bastano questi numeri a spiegare perché Amazon, Cisco, General Electric, Oracle, Microsoft, Symantec e altre aziende di software stanno concentrando i propri investimenti sull'Internet delle Cose. Ancora una volta, a muoversi con più rapidità e decisione sono gli americani.

Pochi giorni fa alla Fiera di Hannover il Ceo di Microsoft, Satya Nadella, ha detto che la materia prima su cui lavorare sono «i dati prodotti dalle auto, dai motori aerei, dagli ascensori» perché su di essi si basano i nuovi sistemi di intelligenza industriali. E ha annunciato che al centro dell'operatività della sua azienda c'è ormai l'IoT.

Ai nastri di partenza la gara è molto affollata, ma al traguardo si presenteranno in poche o addirittura una sola azienda, com'è accaduto con la ricerca sulla Rete (Google), l'eCommerce globale (Amazon e AliBaba), i social network (Facebook), la raccolta pubblicitaria online (Google e Facebook), i sistemi operativi per apparecchi mobili (iOS e Android), i film on demand (Netflix). «Winner takes it all», ha sintetizzato al Financial Times il Chief Digital Officer di General Motors, Bill Ruh. Dove il “winner” è chi imporrà il proprio software come standard.

“IoT: un sistema di apparecchiature semplici e complesse dotate di indirizzo IP che si scambiano dati senza l'intervento umano”

 

Di Internet delle Cose si parla dalla fine del secolo scorso. Nel 1999 Kevin Ashton, ex ricercatore dell'azienda leader di prodotti per la persona e la casa Procter & Gamble, poi passato al MIT di Boston, usò la locuzione “Internet of Things” per la prima volta. C'è poi voluto un decennio per definire esattamente cos'è l'IoT: un sistema di apparecchiature semplici e complesse dotate di indirizzo IP (un codice identificativo unico) che si scambiano dati senza l'intervento umano. Gli “oggetti” possono essere le persone che indossano un indumento connesso oppure hanno un impianto che monitorizza funzioni fisiologiche, animali e piante con i biochip, le automobili con i sensori, i robot che si parlano lungo le catene di montaggio e comunicano con l'esterno, le scale mobili di un supermercato, i bisturi che trasmettono informazioni, i giocattoli interattivi: in teoria, qualsiasi “oggetto” vivo o inanimato che disponga dell'IP e della connessione alla rete necessari per scambiare i dati raccolti.

Non bisogna confondere le intranet of things con l'Internet of Things: nel primo caso si tratta di reti chiuse con specifici obiettivi, i cui oggetti interagiscono tra loro senza colloquiare con l'esterno; i dati dell'Internet delle Cose sono invece per definizione disponibili per terzi, che li possono trattare, elaborare, arricchire, usare per costruire nuovo valore. Che è quanto Microsoft e i suoi principali concorrenti si propongono di fare al meglio e prima degli altri nella veste di fornitori di software che diventano standard di mercato. Anche se, come evidenzia il report presentato all'ultimo World Economic Forum di Davos, «la stragrande maggioranza delle aziende sta ancora lottando per capire le implicazioni di Internet sulla loro attività», l'Europa sta finalmente facendo qualcosa per tenere il passo degli americani.

“«l'Europa potrà mantenere la propria base competitiva e la leadership in settori decisivi solo se l'industria verrà digitalizzata rapidamente ed efficacemente»”

Gunther Oettinger, commissario Ue per l'economia e le società digitali  

Nel percorso di definizione del mercato unico digitale che sta impegnando in questi mesi la Commissione, alla finde del mese scorso è stato presentato un pacchetto di misure per un valore di 50 miliardi di euro finalizzate a favorire la digitalizzazione dell'industria e dei servizi connessi. Tra esse – oltre alla cloud continentale, alle tecnologie dei dati, alle reti 5G, alla cybersicurezza etc. – compare anche l'IoT. Il commissario per l'economia e le società digitali Gunther Oettinger ha detto che «l'Europa potrà mantenere la propria base competitiva e la leadership in settori decisivi solo se l'industria verrà digitalizzata rapidamente ed efficacemente». Ha ragione.

La Commissione di Bruxelles e il governo di Roma sono peraltro consapevoli che alcune aree dell'ecosistema produttivo sono all'altezza delle sfide digitali globali, mentre altre sono in grave ritardo. L'Unione le elenca: l'edilizia, l'agro-alimentare, il tessile, la siderurgia. Ancora più arretrate sono le piccole e medie imprese, a prescindere dal loro prodotto o servizio. È un campanello d'allarme per l'Italia: la non procrastinabile modernizzazione digitale arranca proprio nei settori dove la nostra produzione è tradizionalmente più forte.

L'Italia è invece allineata alle eccellenze globali per quanto riguarda la ricerca sull'Internet of Things. Pochi giorni fa al Politecnico di Milano sono stati presentati report incoraggianti sullo stato dell'arte a livello scientifico; l'Università di Pisa porta avanti studi di valore; altrettanto avviene in ottime realtà accademiche come il Politecnico di Torino. Ci sono casi di spinoff che suscitano interesse all'estero, ma restano una rarità. Quando si tratta di trasformare gli studi in realtà industriali, arrivano le difficoltà.

Mi ha detto recentemente un docente di robotica: «Nella ricerca di base noi italiani siamo estremamente competitivi ma non riusciamo a trasformarla in innovazione effettiva». Qualche soluzione potrebbe venire da una maturazione normativa e soprattutto culturale che aiuti i ricercatori a diventare autonomamente imprenditori oppure che li spinga a cedere a imprese esistenti la proprietà intellettuale del frutto del proprio lavoro. La strada migliore, come dimostra l'esperienza di Silicon Valley, sarebbe che i ricercatori dell'IoT e di altri settori lavorino con venture capital per costituire spinoff. Copiare da chi ha già ben fatto è, in questi casi, la scelta più giusta.

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