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Lavorare nell’era digitale, in Italia insoddisfatto un lavoratore su…

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la ricerca Idc «future people»

Lavorare nell’era digitale, in Italia insoddisfatto un lavoratore su due

Non sono purtroppo positive le valutazioni sul benessere dei dipendenti, così come sono negative anche le prospettive in tema di collaborazione, che emergono dallo studio «Future People: Le postazioni di lavoro nell’era della trasformazione digitale», promosso da Cornerstone OnDemand (azienda californiana specializzata nel campo delle soluzioni di cloud learning e talent management) e condotto da Idc su un campione di oltre 1.300 professionisti delle risorse umane e business manager in 16 Paesi europei.

Uno studio che ha analizzato le tendenze e gli sviluppi del lavoro flessibile, della leadership, della gestione delle performance e dello stato delle Hr nelle aziende e che ha cercato di comprendere le reali dinamiche che caratterizzano il cambiamento dei modelli attraverso i quali le organizzazioni operano e la forza lavoro produce valore. Il punto di partenza sono le enormi sfide per la gestione delle risorse umane che la trasformazione digitale comporta, poiché i dipendenti richiedono spazi di lavoro flessibili e tecnologie di collaborazione all’altezza delle soluzioni già penetrate nel mondo consumer mentre i processi (anche quelli legati al personale) diventano sempre più digitali e self-service.

LAVORO DIGITALE
Percentuale di persone soddisfatte per Paese. (Fonte: IDC)

L’esigenza di fondo, questo il messaggio di sintesi che emerge dall'indagine, è il “matching” fra Hr manager e «line of business> su quali siano le nuove funzioni da attribuire alle risorse umane. Un assunto esplicito che nasce da uno scenario ben definito: il lavoro flessibile ha un impatto diretto sul coinvolgimento dei dipendenti e la libertà di lavorare da remoto ha un impatto importante sul senso di appartenenza dei lavoratori e sulla loro disponibilità a raccomandare l'impresa a terzi. In altre parole, i sistemi e le tecnologie per il lavoro flessibile dovrebbero essere una priorità dei Chief executive officer e non dovrebbero essere trattati come un comune progetto informatico.

L'adozione di prassi collaborative ha infatti una ricaduta significativa sulle performance finanziarie. Le organizzazioni che le adottano, abbinate a una forte mobilità interna dei dipendenti e ad un sistema di apprendimento aperto, registrano un maggiore tasso di crescita. La tanto dibattuta «performance review», insomma, non è morta. Anzi. Gli autori dello studio ne enfatizzano la sempre maggiore importanza e per la gran parte dei rispondenti rappresenta un valore fondamentale.

Guardando al dettaglio del campione italiano, balza subito all’occhio come la percentuale di rispondenti orgogliosi del loro posto di lavoro e disponibili a raccomandarlo sia pari al 59%, dodici punti percentuali sotto la media europea e l’indice più basso misurato su dieci paesi. Considerato che i manager e le risorse umane sono (o dovrebbero essere) i sostenitori fondamentali dei valori aziendali, il fatto che soltanto poco più della metà sia disposto a raccomandare la propria azienda è un indicatore in qualche modo allarmante. L’Italia non brilla quindi in fatto di «employee engagement» e lo studio di Cornestone non è l’unico a rilevarlo. Le possibili ragioni di questo gap rispetto ad altri Paesi europei? La competizione relativamente limitata per la selezione del talento - in un mercato del lavoro abbastanza rigido, tradizionale e altamente regolamentato – è secondo gli esperti di Idc una di queste. Una seconda, non meno importante in prospettiva, chiama in causa direttamente le organizzazioni che attribuiscono una valutazione relativamente bassa al lavoro flessibile, un fattore decisivo per il benessere dei dipendenti.

Molti rispondenti hanno quindi suggerito la possibilità di attività ricreative sul posto di lavoro (voce segnalata nel 67% dei casi), sistemi informatici accessibili attraverso nuovi dispositivi (69%) e postazioni di lavoro flessibili (58%). In linea generale, i risultati mostrano due facce contrapposte delle aziende della Penisola: da una parte molto attente nell'adozione delle nuove tecnologie, ma dall’altra ancora indietro nel progredire oltre le barriere organizzative e culturali che si oppongono al lavoro flessibile, agli open-space e alla mobilità interna.

I manager italiani, per chiudere il cerchio, evidenziano molto più spesso della media europea nella selezione, formazione e gestione dei dipendenti i compiti più attribuiti alle risorse umane, rispetto a nuove responsabilità. Un approccio che riflette una nozione piuttosto tradizionale della problematica, nonostante – doveroso sottolinearlo - vi siano chiari segnali di cambiamento in corso.

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