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Quando essere leader è sinonimo di guidare un team eterogeneo

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Quando essere leader è sinonimo di guidare un team eterogeneo

Randall Peterson è Professor e Chairman dell’Organisational Behaviour Faculty presso la London Business School e l’ambito della sua attività di ricerca riguarda la transizione della leadership nelle organizzazioni, l’interazione tra Ceo e top management, il processo di creazione di fiducia in un team di lavoro. Un grande esperto di «materia umana» ad alti livelli, insomma, che ha fornito le proprie consulenze a gruppi internazionali di tutto il mondo. Parlando degli argomenti oggetto dei suoi studi all’ultimo Global Leadership Summit di Ambrosetti, ha stimolato la folta platea di manager presenti con una riflessione che sa (per alcuni versi) di sentenza: «Quando ci sono 100 teste brillanti riunite in un gruppo di lavoro non è scontato che si raggiunga un risultato soddisfacente. Anzi. È più probabile il contrario». In un’era, quella del digitale, che predica l’elogio e la cultura del talento è un’affermazione in netta controtendenza.

I team, questa l’analisi di Peterson, arrivano a risolvere più problemi, e con modalità migliori, rispetto al singolo individuo. Ci sono diversi studi che lo dimostrano e lo prendiamo quindi come un assunto, anche se non manca il rovescio della medaglia. «I team – ha spiegato infatti il professore - necessitano di più tempo per giungere alla soluzione. Se idealmente tutti i soggetti del gruppo dovrebbero essere allineati, la realtà è diversa e gli esempi di cattivi lavori di squadra non mancano, soprattutto quando si tratta di integrare molte diversità a livello sessuale, di razza e di caratteristiche personali». Se c’è una ricetta buona per tutte le occasioni, e sinonimo di risultati di qualità, questa può essere la seguente: i team che raggiungono buone performance sono generalmente composti da soggetti che traggono beneficio dall’essere parte del gruppo (anche da prospettive diverse e non consolidate) e si muovono e comportano rispetto a dinamiche che cambiano nel tempo rimanendo sempre e comunque efficaci.

Quali sono quindi i principi che guidano un team di successo? La risposta a questa domanda, secondo Peterson, ha contorni ben definiti: «La fiducia fra i leader, o il leader, e i membri del team è un aspetto fondamentale e i capisaldi di questa fiducia variano da individuo a individuo e si basano sulla competenza, sulla benevolenza, sul rispetto delle competenze, sull’integrità comportamentale».

Se la fiducia è il requisito primario, anche la condivisione e lo scambio di informazioni sono secondo l’esperto della Business School altrettanto importanti, nonostante spesso si originino conflitti a livello di processi e a livello di mansioni da svolgere che si aggiungono a quelli di natura personale. «La diversità – questa l’importante sottolineatura - può essere un vantaggio, ma anche uno svantaggio all’interno di un’organizzazione. La performance di un team è strettamente correlata alla diversità e più un gruppo di lavoro è eterogeneo, più è in grado di portare a risultati migliori. Per contro questa eterogeneità implica un costo, che è quello di gestire i possibili conflitti che possono emergere».

Un aspetto sempre più importante sul tavolo del management aziendale è dunque la gestione degli aspetti legati alla diversità. La maggior parte dei conflitti, ed è questo il punto focale della questione secondo Peterson, sono dovuti non tanto alla diversità di opinioni quanto al modo in cui i vari soggetti del gruppo si relazionano. «Il conflitto – dice l’esperto - non è un male ma va gestito, valorizzando le esperienze e le informazioni che lo animano. Il problema nasce quando ci sono diverse attribuzioni di valore assegnate all'informazione/attività oggetto di conflitto. In questi casi diventa essenziale capire il contenuto del disaccordo e interpretarlo in modo costruttivo e positivo».

E se al consenso non ci si arriva? In questo caso diventa decisivo il ruolo del leader nel riconoscere il rapporto individuale con ognuno dei membri del team e nel prendere una decisione. L’esempio pratico illustrato dal professore rende bene l’idea delle complessità con le quali si scontrano spesso molti manager: se la decisione è presa a maggioranza con una votazione viene meno l’apporto proattivo di chi era contro la decisione. Questo significa che «gli elementi di conflittualità vanno discussi, affrontati e condivisi da tutto il team, al pari dei valori espressi dalla componente diversità», ha detto ancora Peterson.

L’ultimo passaggio affrontato in sede di presentazione all’evento di Ambrosetti ha messo in evidenza il modello “ideale” per assicurare che la diversità operi a favore dei risultati e dell’efficienza. «Serve gestirla, stabilire gli aspetti economici e i parametri del successo aspettato, “decidere” i processi decisionali attraverso il consenso, verificare le identità e i valori del team», ha precisato il docente della Business School. La visione della strategia digitale, questo l’esempio emblematico a cui fare riferimento, è molto diversa da individuo a individuo: per lavorare bene insieme è necessario che vi sia una comunione di intenti e di competenze. Il problema che assilla le aziende, in molti casi, nasce proprio da questo presupposto, perché i leader spesso non capiscono e non conoscono il livello di fiducia esistente fra i vari membri del team. «I leader – questo il consiglio di Peterson - devono essere aperti ai feedback, devono essere consapevoli di ciò che pensano gli altri per poter raggiungere risultati importanti». Una ricetta dal sapore antico che vale anche in tempi di rivoluzione digitale.

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