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Il direttore del personale? In Italia è uno «stakanovista consapevole»

Quanto lavora, e come lavora, il direttore Hr in azienda? Qual è l'impegno di chi, per incarico e missione, deve gestire le risorse umane all'interno dell'organizzazione? Ad affrontare il tema, sicuramente stimolante considerata la particolarità della figura manageriale finita sotto indagine, ci ha pensato Gidp, l'Associazione italiana dei Direttori del Personale, intervistando 105 fra i suoi iscritti appartenenti ad importanti realtà imprenditoriali del nostro Paese.
Il quadro di sintesi che emerge dallo studio ci presenta una figura dell'Hr manager calata nel ruolo di un professionista estremamente dedito al proprio compito, sempre presente in azienda e abituato a portarsi il lavoro a casa sia durante la settimana sia nel week-end (e perfino durante le festività). Telefonino e pc sono quindi accessori inseparabili o quasi per i responsabili del personale e anche lo stress sta diventando ormai, in modo consapevole, una parte integrante della loro attività quotidiana. Non manca, ovviamente il rovescio della medaglia, sintetizzabile con una sorta di “ammissione di colpa” degli Hr manager, che si dicono scontenti nel pensare i propri figli impegnati a lavorare con le loro stesse modalità.

Molto indicativa la chiave di lettura di sintesi che offre Paolo Citterio, Presidente Nazionale Gidp/Hrda, evidenziando come il rilevante impegno del direttore delle risorse umane sia dovuto «al suo importante ruolo all’interno dell’organizzazione e alla realizzazione di profonde modifiche strutturali nelle medio-grandi imprese in questi ultimi otto anni, durante i quali l’esigenza di business aziendale ha reso il contributo dell'Hr business partner imprescindibile ed obbligatorio».

Guardando alle principali risultanze della ricerca, spicca fra i tanti dati quello che vede il 23% dei manager intervistati affermare di non aver preso neanche un giorno di malattia negli ultimi quattro anni di attività. Oltre il 70% dei responsabili Hr, inoltre, assicura di essersi recato in ufficio pur stando veramente male almeno in dieci occasioni (e il 18% del campione è andato oltre le dieci volte). Nell’ultimo quadriennio, a testimonianza della dedizione al ruolo da parte del campione oggetto di studio, il 32% dei rispondenti si è recato in ufficio al sabato da una a cinque volte mentre oltre il 20% fino ai dieci sabati. Un dato che si specchia nella percentuale, pari al 19%, di coloro che hanno lavorato da casa per più di 30 giorni prefestivi e in quella, superiore al 34%, dei manager che hanno “ammesso” di aver lavorato anche la domenica, e per più di dieci volte.

L’essere «always on» dei responsabili Hr è ben testimoniato inoltre dal fatto che il 91% di loro è abituato a leggere le e-mail di lavoro durante il week-end e dall’impegno profuso tanto nei giorni festivi (è capitato a più della metà degli intervistati) quanto durante le ferie (circa il 35% è stato contattato o ha contattato l'ufficio tra le sei e le dieci volte alla settimana). L'appellativo di “stakanovista”, infine, è più che meritato da quell'81% di manager che si portano il lavoro a casa durante la settimana non riuscendo a terminarlo in azienda, facendo lievitare il tempo dedicato alla propria professione dalle 10 alle 11 ore giornaliere (situazione che interessa il 55% del campione).

La tendenza a fare più del dovuto è confermata del resto anche da Citterio, che fa notare come rispetto al 2007, anno a cui risale l’ultima rilevazione dell’Associazione sull’impegno manageriale, l’abitudine di portarsi il lavoro a casa sia notevolmente aumentata, dal 59% all'81%. «Il digitale – spiega in proposito il Presidente di Gidp - ha rivoluzionato il ruolo del direttore Hr, per il quale ormai è normale leggere e-mail di lavoro anche a casa e/o al di fuori del normale orario di lavoro, e sta modificando integralmente i ruoli aziendali, la cui riorganizzazione, nonché la loro gestione e il supporto formativo dei singoli sempre in sintonia con la proprietà, spetta per l’appunto al responsabile delle risorse umane». Ma perché gli Hr manager italiani sono così propensi verso un impegno supplementare? Le motivazioni più gettonate, nell’ordine, sono le seguenti: la quantità di lavoro della propria organizzazione (citata nel 36% dei casi), l’interesse per il proprio lavoro (22%) e l’identificazione con l'impresa (19%).

L’impatto sulla vita familiare e personale di tale dedizione alla professione, per completare lo scenario emerso dalla ricerca, sembra essere poco rilevante e di conseguenza poco problematico. Il 42% dei manager assicura infatti che il partner sa accettare questa condizione e lo stesso dicasi per i figli, almeno nel 38% dei casi. Se l’Hr manager italiano sa accettare l’aumento di stress (il 32% lo considera parte integrante e costante del proprio lavoro) ed essere discretamente attento alla necessità di formazione (il 27% afferma di aver dedicato oltre 80 ore alle attività di aggiornamento negli ultimi quattro anni), si dimostra però in parte “invidioso” dello status dei colleghi esteri. I responsabili del personale della Penisola sono infatti convinti che fuori dai confini nazionali si lavori meno ore grazie ad una migliore organizzazione aziendale (motivazione data dal 49% del campione), al minor valore dato all’over time dirigenziale dalle multinazionali (16%) e al minor carico di burocrazia che grava sulle imprese (15%).

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