li investimenti per Industria 4.0 previsti dalla Legge di Bilancio 2017 devono essere accompagnati da agevolazioni per assumere manager qualificati, esperti in innovazione e in tecnologie digitali. Il pensiero di Stefano Cuzzilla, Presidente di Federmanager, in tema di nuove professioni legate alla quarta rivoluzione industriale è molto esplicito. Per promuovere e avviare al meglio la trasformazione in Italia, insomma, il contributo dei manager è fondamentale perché la riduzione del gap digitale che caratterizza il sistema industriale nazionale non può prescindere dalle competenze di management. E l'associazione, in proposito, una sua ricetta ce l'ha: e va anche oltre il piano del governo relativo alla formazione a livello universitario e ai centri di eccellenza.
Per recuperare il ritardo digitale, ha detto ancora Cuzzilla, bisognerebbe infatti immettere managerialità nelle Pmi nel momento esatto in cui partono gli incentivi fiscali finora individuati con l'estensione dello strumento dell'ammortamento. Se così non accadrà, dicono da Federmanager, si rischia di spendere somme ingenti nell'acquisto massiccio di strumenti obsoleti, in processi e modelli di marketing incapaci di competere o, peggio ancora, in strategie che fanno leva su tecnologie avanzate senza saperle sfruttare.
Ma per costruire e valorizzare una squadra di contaminatori digitali, di manager formati e competenti da inserire subito nelle piccole e medie imprese, può bastare solo una politica di natura fiscale? A precisa domanda, Cuzzilla ha spiegato al Sole24ore.com come «gli incentivi servono perché è il momento di sostenere gli investimenti, e assumere un manager significa fare investimento. Come Federmanager stiamo certificando i colleghi che si occupano di digital transformation definendone competenze specifiche, di processo e “soft skills” e abbiamo brevettato per questo la figura dell'innovation manager».
Ma questo è solo il primo passo. Il prossimo, e Cuzzilla conferma colloqui in corso con Palazzo Chigi in tale direzione, è quello di attivare «un programma-quadro che incentivi attraverso la leva fiscale l'inserimento in azienda, anche in forma di temporary management, di questo profilo certificato. Abbiamo alle spalle la positiva esperienza fatta con il progetto Italia Lavoro per l'export manager e siamo convinti che sia l'anello di congiunzione che serve al piano Industria 4.0 per realizzarsi compiutamente». Velocizzare il processo di trasformazione digitale delle Pmi è quindi una priorità, anche se non dell'ultima ora, ed è lo stesso Presidente di Federmanager a confermarlo, ricordando come «nel 2015 circa l'85% delle imprese che hanno cessato l'attività non aveva un sito Web. Sappiamo e comprendiamo che lo sforzo per colmare questa arretratezza digitale – spiega ancora Cuzzilla - deve essere consistente e non può essere lasciato solo all'imprenditore. Il processo va però velocizzato, eccome, perchè siamo molto indietro rispetto ad altri Paesi. La soluzione? I manager, in quanto sono acceleratori di questo processo».
Digitalizzare la produzione manifatturiera non può, in ogni caso, essere considerato il punto di arrivo, e questo perché, conclude Cuzzilla, «Industria 4.0 significa anche affermare nuovi modelli di governance e di organizzazione aziendale, perché si tratta di qualcosa di più innovativo dell'adozione di nuove tecnologie: è una rivoluzione in un contesto economico che oggi sopporta malvolentieri i confini e abbraccia i paradigmi della sharing economy, delle organizzazioni lean o dello smart working».
Sui nuovi ruoli che Industry 4.0 andrà a sviluppare il dibattito è quindi più che mai aperto. Designer engineer, cyber security specialist, business intelligent analyst, data scientist e data specialist sono solo alcune delle decine di figure professionali che stanno entrando in gioco, caratterizzando il mercato del lavoro. E si tratta di una tendenza a nuove specializzazioni e competenze già in atto, sebbene sia solo agli albori. Abilità legate a social network, tecniche di Search engine optmization (Seo) o alla gestione dei blog stanno diventando sempre più richiesti fra le funzioni amministrazione, marketing e vendite delle aziende del settore industriale; le skill in fatto di security e connettività sono le più gettonate nel campo della progettazione, della produzione automatizzata e della logistica, nell'area sistemi informativi i profili più richiesti ruotano invece attorno alla data analysis, al controllo e alla gestione dei dati.
Se la transizione verso la nuova rivoluzione industriale è iniziata, la formazione delle nuove professionalità non sempre riesce a tenere il passo. Anzi. I corsi di lauree magistrali in data scientist in Italia si contano sulle dita di una mano e poco di più sono i master dedicati alla gestione dei Big Data. Gli incentivi e i finanziamenti alla formazione previsti dal Piano nazionale per l'Industria 4.0, guarda caso, vanno proprio in questa direzione. Lo scenario attuale vede, in definitiva, una domanda di nuove professionalità in ambito digitale in sensibile crescita da una parte e un ecosistema che non è (al momento) pronto a soddisfare tale domanda dall'altra, anche a causa di una formazione universitaria non al passo coi tempi e tarata su cicli di lavoro generalmente non conformi alla velocità di evoluzione dei ruoli professionali.
Nel nostro Paese, questa la realtà delle cose, il tasso di occupazione dei giovani nel settore digitale si ferma al 12%, rispetto al 16% della media europea. La Commissione europea, in proposito, calcola che entro il 2020 ci saranno 900mila posti di lavoro vacanti per mancanza di competenze dedicate, più del triplo rispetto ai 275mila registrati nel 2012. E in Italia, secondo un recente studio di Modis, il 22% delle posizioni aperte in questo ambito non trova candidati all'altezza.
© Riproduzione riservata