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Creare valore deglobalizzando: la (inusuale) scommessa di GM

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stretegie di sviluppo

Creare valore deglobalizzando: la (inusuale) scommessa di GM

Erano tre le grandi imprese automobilistiche “globali” che per anni si sono battute fra loro, alternandosi nelle posizioni di vertice, per la leadership nel numero di veicoli venduti: General Motors (GM), Toyota e Volkswagen. Al di là dell’orgoglio di «essere prime» e delle possibili ricadute positive in termini di immagine, l’idea retrostante – una sorta di «chiodo fisso» ad esempio per Marchionne - era che la scala rappresentasse per i produttori di massa il differenziale competitivo determinante: più che a livello di distribuzione (locale) o di assemblaggio (comunque legato al territorio), per il potenziale impatto sul costo dei componenti (purchè standardizzati) e per la possibilità di “spalmare” gli elevati costi dell’R&D. E che la presenza su tutti i mercati rilevanti non fosse solamente funzionale al conseguimento di una scala elevata, ma rappresentasse un’indispensabile arma per un’impresa per potere – come nelle guerre mondiali – rispondere agli eventuali attacchi dei competitori nei propri santuari del profitto contrattaccando nei loro.

PRODUTTORI AUTO A CONFRONTO
L'utile netto è quello degli ultimi 4 trimestri. Il rapporto P/E, come noto, pone in relazione la capitalizzazione di Borsa all'utile netto atteso. (Fonte: Elaborazioni di Umberto Bertelè su dati FT del 20.5.2017)

Le recenti mosse di GM – ritornata a macinare rilevanti profitti dopo essere uscita nel 2009 dalla bancarotta che l’aveva travolta in concomitanza con la grande crisi - sembrano negare tutti questi assunti, che l’avevano resa leader incontrastata dagli Anni 20 del secolo scorso sino alla «rivoluzione Toyota». È di poco più di due mesi fa l’annuncio dell’uscita dal mercato europeo, con la vendita delle sue “filiali” Opel e Vauxhall al gruppo francese PSA. È recentissimo il doppio annuncio dell’abbandono dei mercati sudafricano e indiano, con la cessione dell’impianto in Sud Africa e il cambio di destinazione in India. E in precedenza GM aveva lasciato la Russia, l’Indonesia e la Tailandia. Con una logica comune a tutte queste operazioni: uscire dalle aree di perdita (Opel da sola aveva perso ben 8 miliardi di dollari a partire dal 2010). Anche da quelle - come l’India - per cui le aspettative di crescita sono molto elevate. «GM is no longer a global company, but it is a profitable one», ha commentato un’analista al Financial Times.

È una strategia di stampo “finanziario” quella di GM, più attenta al breve termine che non al medio-lungo? O nasce dalla convinzione che il mondo dell’auto si stia trasformando rapidamente e che siano destinate a modificarsi le «regole del gioco»?

Tenderei più verso la prima ipotesi, anche se è vero che tutto il comparto dell’auto – nonostante i forti recuperi di profittabilità con la ripresa della domanda dopo la grande crisi – sta vivendo un momento di forti incertezze, per le molteplici spinte cui è soggetto: verso il car sharing, soprattutto nelle grandi aree urbane; verso veicoli (completamente) elettrici, anche come conseguenza dello «scandalo Volkswagen» che ha portato alla messa sotto accusa dei motori Diesel; verso veicoli sempre connessi, sia per il controllo da remoto delle prestazioni sia per l’entertainment; verso veicoli ove il software e i sensori hanno un ruolo sempre più importante come facilitatori della guida, in attesa del possibile avvento delle self-driving car.

Daimler e BMW hanno ambedue ad esempio avviato attività di car sharing, con Car2Go e DriveNow. Ford ha ad esempio creato un suo sistema di entertainment, adottato tra gli altri da Toyota, ma si è trovata costretta a permettere l’installazione sui suoi veicoli del CarPlay di Apple e dell’Android Auto di Google, compatibili con gli smartphone dei clienti. Volkswagen ha annunciato la sua progressiva conversione all’auto elettrica (1 milione di veicoli all’anno entro il 2025) in chiave anti-Tesla, ma anche per allontanare il ricordo dello «scandalo Diesel». Più o meno tutte le grandi case – anche GM - stanno investendo in progetti di self-driving e/o acquisendo startup in tale ambito, per la preoccupazione che siano Google (con Waymo) o Apple i nemici da battere nel futuro.

E la Borsa scommette ampiamente sul cambiamento. Con più di 700 milioni di perdite e una produzione 2016 di circa 70 mila veicoli, Tesla, una quasi start-up che ha puntato tutte le sue carte sull’auto elettrica e che concepisce le sue auto come una sorta di grandi smartphone (con prestazioni migliorabili con l’aggiornamento dei sistemi operativi) è valutata oltre 50 miliardi di $: più di GM, con i suoi oltre 10 milioni di veicoli venduti (prima delle alienazioni) e i suoi 1o miliardi di utile netto.

* Professore emerito del Politecnico di Milano

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