Erano tre le grandi imprese automobilistiche “globali” che per anni si sono battute fra loro, alternandosi nelle posizioni di vertice, per la leadership nel numero di veicoli venduti: General Motors (GM), Toyota e Volkswagen. Al di là dell’orgoglio di «essere prime» e delle possibili ricadute positive in termini di immagine, l’idea retrostante – una sorta di «chiodo fisso» ad esempio per Marchionne - era che la scala rappresentasse per i produttori di massa il differenziale competitivo determinante: più che a livello di distribuzione (locale) o di assemblaggio (comunque legato al territorio), per il potenziale impatto sul costo dei componenti (purchè standardizzati) e per la possibilità di “spalmare” gli elevati costi dell’R&D. E che la presenza su tutti i mercati rilevanti non fosse solamente funzionale al conseguimento di una scala elevata, ma rappresentasse un’indispensabile arma per un’impresa per potere – come nelle guerre mondiali – rispondere agli eventuali attacchi dei competitori nei propri santuari del profitto contrattaccando nei loro.
Le recenti mosse di GM – ritornata a macinare rilevanti profitti dopo essere uscita nel 2009 dalla bancarotta che l’aveva travolta in concomitanza con la grande crisi - sembrano negare tutti questi assunti, che l’avevano resa leader incontrastata dagli Anni 20 del secolo scorso sino alla «rivoluzione Toyota». È di poco più di due mesi fa l’annuncio dell’uscita dal mercato europeo, con la vendita delle sue “filiali” Opel e Vauxhall al gruppo francese PSA. È recentissimo il doppio annuncio dell’abbandono dei mercati sudafricano e indiano, con la cessione dell’impianto in Sud Africa e il cambio di destinazione in India. E in precedenza GM aveva lasciato la Russia, l’Indonesia e la Tailandia. Con una logica comune a tutte queste operazioni: uscire dalle aree di perdita (Opel da sola aveva perso ben 8 miliardi di dollari a partire dal 2010). Anche da quelle - come l’India - per cui le aspettative di crescita sono molto elevate. «GM is no longer a global company, but it is a profitable one», ha commentato un’analista al Financial Times.
È una strategia di stampo “finanziario” quella di GM, più attenta al breve termine che non al medio-lungo? O nasce dalla convinzione che il mondo dell’auto si stia trasformando rapidamente e che siano destinate a modificarsi le «regole del gioco»?
Tenderei più verso la prima ipotesi, anche se è vero che tutto il comparto dell’auto – nonostante i forti recuperi di profittabilità con la ripresa della domanda dopo la grande crisi – sta vivendo un momento di forti incertezze, per le molteplici spinte cui è soggetto: verso il car sharing, soprattutto nelle grandi aree urbane; verso veicoli (completamente) elettrici, anche come conseguenza dello «scandalo Volkswagen» che ha portato alla messa sotto accusa dei motori Diesel; verso veicoli sempre connessi, sia per il controllo da remoto delle prestazioni sia per l’entertainment; verso veicoli ove il software e i sensori hanno un ruolo sempre più importante come facilitatori della guida, in attesa del possibile avvento delle self-driving car.
Daimler e BMW hanno ambedue ad esempio avviato attività di car sharing, con Car2Go e DriveNow. Ford ha ad esempio creato un suo sistema di entertainment, adottato tra gli altri da Toyota, ma si è trovata costretta a permettere l’installazione sui suoi veicoli del CarPlay di Apple e dell’Android Auto di Google, compatibili con gli smartphone dei clienti. Volkswagen ha annunciato la sua progressiva conversione all’auto elettrica (1 milione di veicoli all’anno entro il 2025) in chiave anti-Tesla, ma anche per allontanare il ricordo dello «scandalo Diesel». Più o meno tutte le grandi case – anche GM - stanno investendo in progetti di self-driving e/o acquisendo startup in tale ambito, per la preoccupazione che siano Google (con Waymo) o Apple i nemici da battere nel futuro.
E la Borsa scommette ampiamente sul cambiamento. Con più di 700 milioni di perdite e una produzione 2016 di circa 70 mila veicoli, Tesla, una quasi start-up che ha puntato tutte le sue carte sull’auto elettrica e che concepisce le sue auto come una sorta di grandi smartphone (con prestazioni migliorabili con l’aggiornamento dei sistemi operativi) è valutata oltre 50 miliardi di $: più di GM, con i suoi oltre 10 milioni di veicoli venduti (prima delle alienazioni) e i suoi 1o miliardi di utile netto.
* Professore emerito del Politecnico di Milano
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