Da più parti sento spesso commenti relativi alla necessità di trovare persone giovani, ma che sappiano rispettare regole e gerarchie. Qualcuno, insomma, che sappia stare al suo posto. Da chi è giovane e senza esperienza, ci si aspetta che l’ingresso in azienda avvenga con un approccio orientato all’apprendimento, all’ascolto e alla messa in pratica. Ma anche orientato al rispetto delle regole. Entrare in un’azienda nuova è simile ad entrare in casa di altri: si devono rispettare le regole di quel luogo. Eppure, per molti giovani professionisti contrastarle diventa quasi una battaglia personale. Perché?
Se partiamo dal presupposto che lavorare in un posto è ancora una scelta libera, chiedersi la spiegazione di questo comportamento è più che legittimo. Se proviamo ad allargare il ragionamento, però, si apre uno scenario che spesso tendiamo a non considerare. Non si tratta, infatti, “solo” di non rispetto delle regole o delle gerarchie. Si tratta piuttosto di volontà di affermare se stessi e il proprio ruolo con lo strumento più semplice ed immediato: la contestazione. Un atteggiamento che richiede di sicuro uno sforzo ben più ridotto rispetto alla ricerca di una soluzione per un determinato problema o di un miglioramento.
Ma questo atteggiamento, a essere onesti, non riguarda solo i più giovani. Qualche giorno fa, un mio cliente mi ha raccontato che una sua persona è stata ripresa dal proprio responsabile perché durante l’orario di lavoro, utilizzando uno telefono aziendale, ha fatto una telefonata personale. Nulla di realmente grave, ma la persona in questione si è sentita aggredita ed ha chiamato il capo del suo responsabile per raccontare l’accaduto e per chiedere se fosse un comportamento normale. Peccato che si fosse dimenticata di raccontare che era stata in pausa caffè per più di 20 minuti e che il motivo dell’appunto non era la telefonata, ma il tempo trascorso alla macchinetta.
Ho raccontato un esempio molto banale, ma il discorso è molto più serio. E di chi è la responsabilità di questa tendenza al non rispetto delle regole? Della società che insegna ai giovani che possono fare tutto ciò che vogliono? Delle famiglie che hanno abdicato al ruolo di educatori lasciando prima alla scuola, poi all’università e infine alle aziende il compito di farlo? Io ritengo che la colpa sia un po’ di tutti. Le buone regole di base dell’educazione partono da casa. Se in famiglia è concesso contestare tutto e ottenere tutto, l’approccio verso l’esterno sarà lo stesso. E se la società ha come modelli personaggi che non fanno altro che contestare e non costruire e gli esempi che forniamo sono di profilo medio basso, poi non possiamo aspettarci che un ragazzo giovane si faccia completamente da solo senza alcun esempio da cui prendere spunto.
* Managing Director di EasyHunters
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