In attesa dei primi riscontri relativi all’anno in corso, si può a ragione affermare che il 2017 sia stato un buon anno per gli amministratori delegati. A questa conclusione, per lo meno, è giunta la sesta edizione dello studio sui compensi dei membri dei Consigli di Amministrazione delle società italiane quotate sul Ftse Mib realizzato da Mercer, multinazionale americana specializzata nel campo della consulenza direzionale e dello sviluppo del capitale umano. L’indagine ha messo sotto osservazione le retribuzioni fisse e variabili dei vertici di 36 aziende facenti parte dell’indice e ha analizzato le informazioni (di dominio pubblico) contenute nei bilanci d’esercizio e nelle relazioni sulle politiche di remunerazione e sulla corporate governance.
Cosa ci dice, linea generale, lo studio? Che nell’arco dei passati dodici mesi si è rafforzato il legame tra i compensi degli Ad e la creazione di valore (le performance borsistiche sui listini del Ftse Mib hanno registrato nell’anno un saldo positivo dell'11%) e che le remunerazioni degli stessi top manager sono aumentate.
Veniamo quindi ai numeri. Se prendiamo in considerazione la retribuzione fissa, gli amministratori delegati hanno percepito mediamente, nel 2017, tra i 945mila e un milione e 460mila euro. Valori stabili rispetto al recente passato ma fra le aziende che hanno rinnovato il proprio Cda, circa metà ha scelto di riconoscere un incremento sostenuto dei compensi fissi ai nuovi amministratori, per un valore medio pari al 24%. In salita, oltre i 900mila euro, sono gli emolumenti medi per chi ricopre la carica di presidente esecutivo e migliori rispetto al 2016 sono risultati anche gli stipendi dei presidenti non esecutivi e dei membri dei Cda (a questi ultimi sono andati circa 57mila euro).
Gli incentivi variabili di breve termine, contrariamente a quanto registrato nel 2016, risultano anch’essi essere in forte crescita, e precisamente del 34%, il valore mediano più alto dal 2012 a questa parte. Le aziende che nel 2017 hanno effettivamente riconosciuto premi legati al miglioramento delle performance aziendali e al raggiungimento degli obiettivi sono state la quasi totalità del campione mentre un quinto delle società industriali facenti parte dell’indice (nel settore bancario, si legge nel rapporto, questa prassi era già diffusa poiché dettata da richieste regolamentari) ha scelto di differire la liquidazione di parte del bonus di breve termine.
Sulla parte variabile di lungo termine, infine, la diffusione dell’utilizzo dei piani di incentivazione (soprattutto attraverso strumenti equity) è ormai molto larga e ha interessato il 90% delle aziende analizzate, rispetto all'81% della scorsa edizione e al 71% dell'anno precedente ancora.
Marco Valerio Morelli, Amministratore Delegato di Mercer Italia, ha messo a fuoco i dati dello studio evidenziando innanzitutto come «a fronte di una crescita di capitalizzazione, della possibilità di liquidare dividendi, di un contesto di ripresa economica e di un migliorato valore del Pil, le grandi società italiane hanno scelto di premiare la buona gestione di chi le amministra». I buoni risultati che hanno caratterizzato il 2017 sotto il profilo economico, finanziario e gestionale delle grandi organizzazioni, insomma, hanno avuto un diretto riscontro nelle buste paga dei top manager.
Una tendenza che secondo Morelli va comunque letta in accezione positiva. «Sia analizzando il dato di quest’anno, sia i dati emersi nelle sei edizioni della ricerca, riscontriamo un livello di pay for performance in linea con le migliori pratiche internazionali», ha spiegato il manager, non mancando di rilevare come in materia di buone prassi che dai Paesi anglosassoni si vanno diffondendo in Italia, «oltre la metà delle aziende del campione attive con piani di incentivazione a breve termine prevede obiettivi non solo economico-finanziari, ma legati anche a indicatori di sostenibilità, corporate social responsability, Esg (Environmental, Social and Governance, ndr.) people empowermente, e quindi confermano un preciso orientamento al cliente interno, oltre che verso quello esterno».
Un ultimo doveroso accenno alla composizione dei Consigli di Amministrazione delle aziende del campione: la presenza femminile è cresciuta al 33%, rispetto al 23% del 2014, mentre quella di membri indipendenti si è confermata al 64%, sugli stessi livelli del 2016.
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