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Dimmi che follower hai e ti dirò che leader sei

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leadership e obiettivi

Dimmi che follower hai e ti dirò che leader sei

La followership può essere definita come la capacità e volontà di cooperare e sostenere con il proprio lavoro il raggiungimento degli obiettivi definiti dal leader. È un aspetto fondamentale della leadership. La stessa leadership non esisterebbe senza followership, ma mentre la prima è studiata e approfondita in lungo e in largo, la seconda resta un po’ in secondo piano, quasi fosse di poco valore. Un workshop sulla followership attirerebbe allo stesso modo di uno sulla leadership? Forse no, anche se in realtà nella nostra vita professionale siamo spesso sia leader sia follower, e le caratteristiche e modalità che riconosciamo nei nostri follower o che mettiamo in atto come follower possono fare di noi dei leader migliori.

Robert Kelley è stato uno dei primi ad occuparsi di followership, lanciando il tema verso la fine degli Anni 90 e sviluppandolo negli anni. Il suo modello cerca di comprendere le tipologie di follower che un leader si trova a gestire e si sviluppa su due dimensioni comportamentali: la prima dimensione misura il grado di pensiero critico o di autonomia che il follower possiede ed esercita nel suo lavoro; la seconda, il livello di passività o proattività che dimostra. Il diagramma che collega le due dimensioni porta Kelley a identificare 5 tipologie di follower.

I follower passivi e acritici sono chiamati “gregge”, per sottolineare la mancanza di iniziativa che li caratterizza: persone che si muovono sul compito assegnato e che seguono il gruppo senza farsi troppe domande. Forse, per non usare giudizi di valore, li chiamerei «Follower Distaccati»: persone che nel lavoro e nell’organizzazione trovano risposta alle loro necessità economiche, ma che hanno portato interessi, passioni e desideri in contesti e luoghi lontani dall'azienda. Vivono la realtà aziendale con distacco, appunto. Fanno il loro dovere, senza attivarsi più del necessario, avendo deciso di spendere le loro energie altrove. Rispetto alla relazione con il leader, li immagino come gli applausi finti nelle sit-com: sono li, danno un ritmo allo spettacolo, ma non sono reali e autentici.

ll quadrante dei passivi ma con alto senso critico e indipendenza di pensiero, è chiamato dei «Follower Alienati». Kelley li definisce come cinici e controdipendenti; hanno la loro opinione e idea, ma raramente riescono a palesarla al leader in modo aperto e chiaro. Per me assomigliano agli “allenatori del lunedi”, che al bar ti spiegano tutti gli errori del C.T. che hanno portato la squadra a perdere la partita. In azienda sono quelli che ti spiegano in corridoio perché la strategia del leader è sbagliata e di come loro avrebbero deciso al suo posto, ma non fanno e dicono nulla nelle sedi opportune per sollecitare in modo concreto revisioni o cambiamenti negli indirizzi ricevuti.

Nel quadrante delle persone attive ma con uno scarso pensiero critico ci sono quelli che Kelley definisce gli Yes-Men, o Conformisti: dipendenti dall’ispirazione del leader, rischiano di diventare quasi servili e dannosi nel tentativo di raggiungere in modo acritico la meta che il leader ha indicato. La figura dello Yes-Man non mi è mai piaciuta, quindi propongo un’altra definizione e, soprattutto, un altro tipo profilo per questo quadrante: quello dei soldati o dei gregari, ossia di quelle figure che, anche se hanno un guizzo o un’intuizione su un modo differente per arrivare al risultato non osano portarlo avanti, per rispetto delle regole e del ruolo. Come il gregario nel ciclismo, che si ferma, aspetta, si sacrifica per lasciare al campione il ruolo principale, anche quando potrebbe arrivare per primo.

Nel quadrante proattività e pensiero critico abbiamo i «Follower Efficaci», che pensano in modo autonomo e portano avanti il loro lavoro con energia e assertività. Potrei chiamarli “Partner” perché il loro modo di fare li rende e fa sentire pari rispetto al leader: hanno coraggio e si sentono legittimati a criticare in modo costruttivo le scelte del leader, con l’obiettivo di migliorarle e di creare maggior valore. Sono i futuri sostituiti del leader o quelli che, se continuano ad essere follower, di fatto rendono il leader giorno dopo giorno sempre meno determinante come unica figura di riferimento.

C’è una quinta categoria nel centro del diagramma: i Pragmatici, che secondo Kelley preferiscono assaggiare di volta in volta il vento; vivono secondo lo slogan «meglio prevenire che curare» e gestiscono il loro ruolo con l’obiettivo di sopravvivere nei cambiamenti. Potrei definirli i “veterani” della followership, quelli che ne hanno viste tante, ma che in fondo non si arrendono. La loro abilità è di saper valutare il leader che hanno di fronte e adattare il loro comportamenti in funzione di ciò che è richiesto.

L’aspetto importante del tema della followership resta che, se da un lato i follower influenzano il modello di leadership, è anche vero che il leader influenza il tipo di follower presenti in azienda. Capi deboli nel giudizio e nella fiducia in sè stessi tendono a simpatizzare per i conformisti e a formare alleanze con loro. Leader direttivi e poco inclini al confronto e alla condivisione di idee sviluppano maggiormente forme di distacco e indeboliscono la capacità critica dell’organizzazione. Leader che non sanno accettare la critica cercano gregari e scoraggiano i follower efficaci, che diventeranno dei leader, ma in altre realtà e contesti.

Un leader efficace ha bisogno di avere accanto a sé persone coraggiose, capaci di pensiero autonomo e in grado di mettere in discussione ciò che non condividono, di portare alternative concrete su cui lavorare. Anche se la presenza di questo tipo di persone può richiedere al leader stesso di fare qualche passo indietro rispetto al proprio ruolo. Per un leader, studiare la followership e le caratteristiche dei propri follower diventa una cartina tornasole per capire il tipo di leadership che sta esercitando.

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