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Ecco perché alle persone, in fondo, piace lavorare

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Ecco perché alle persone, in fondo, piace lavorare

(Adobe Stock)
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Se vincessi ad una lotteria e il premio fosse un assegno mensile per tutta la vita, sufficiente a soddisfare ampiamente tutte le tue esigenze pratiche ed economiche, cosa faresti nei 10 anni successivi, dopo un primo anno di vacanza? Quasi l’80% continuerebbe a lavorare. È il risultato - per nulla scontato - di una ricerca «esplorativa-sperimentale» “sul senso del lavorare, cominciando dalle persone”, condotta da Massimo Bruscaglioni e Cristina Cavalieri del Bruscaglioni Empowerment Risfor Network, specializzato in metodologie formative innovative e in empowerment aziendale e delle persone.

PARTECIPA A: «Il questionario sul senso del lavorare»

L’obiettivo principale del lavoro era esplorare il senso, la ragion d’essere, che le persone attribuiscono al proprio lavorare nella vita, al di là delle ovvie esigenze economiche. Ma lo studio voleva anche indagare il rapporto tra la persona e il proprio lavoro, la «convivenza» con il lavoro, e il rapporto a tre persona-lavoro-azienda. Psicologo e ingegnere, nel valutare i risultati della ricerca Bruscaglioni è prudente, spinto forse dagli oltre 30 anni di attività passati ad applicare sul campo metodologie per il potenziamento personale e professionale delle persone e per lo sviluppo delle aziende. «Se il risultato fosse generalizzabile – spiega – verrebbe spontaneo esclamare che alle persone piace lavorare!». La prudenza nasce dal numero contenuto delle interviste, somministrate in parte attraverso i social. Ma anche in questo risiede il carattere sperimentale della ricerca che, come tale, apre la strada a nuovi sviluppi da parte di Risfor Network che tra i suoi clienti ha nomi come Basf, Vodafone, Fca, Intesa Sanpaolo, Inail e più di recente Erg, Credem, Carrefour Banca Mps.

Tornando ai risultati raccolti fino ad oggi, sono decisamente molto più positive che negative le risposte alle domande sul sentimento di simpatia o di antipatia nei confronti della dimensione lavorativa: il 71% ha espresso “simpatia o molta simpatia”. Molto più bassa l’antipatia, citata più che altro per l’eccesso di tempo dedicato al lavoro.

La scala delle motivazioni

Nell’analizzare la “ragion d’essere” del lavoro nella propria vita, i risultati della ricerca descrivono una sorta di scala che ricorda la scala di Abraham Maslow sui bisogni esistenziali della persona. Partendo dal primo gradino, quello del bisogno primario di autonomia economica, si sale via via al bisogno di riconoscimento sociale, del sentirsi occupato e poi capace, utile per gli altri. E ancora, al bisogno di produrre valore e quindi sentirsi di valore, di imparare a vivere, lasciare una traccia, e infine il bisogno di esprimere la propria capacità di generare che si manifesta nell’innovazione. «Questa scala – spiegano Bruscaglioni e Cavalieri – può risultare utile sia alle persone sia alle aziende per ragionare sulle motivazioni sul lavoro. Evidenzia lo “zoccolo duro” e affidabile della motivazione e allo stesso tempo la sua possibile dinamica evolutiva». Inoltre, «il fattore “senso” come “ragion d’essere” del lavoro nella propria vita risulta rilevante non solo ai livelli più alti di professionalità, ma anche ai livelli più semplicemente operativi».

LA SCALA DI SENSO
I fattori della “ragion d'essere” del proprio lavorare (Fonte: Bruscaglioni Empowerment Risfor Network)

Il lavoro come gioco

Molto alta anche la percentuale di chi percepisce una forte somiglianza tra il lavoro e il gioco. «In entrambi ci sono regole, ruoli, attività precise da svolgere, interazioni tra persone e gruppi; entrambi richiedono impegno e concentrazione per fare bene e nel gioco, per renderlo più divertente spesso si fa finta che il risultato sia importante, come nel lavoro, senza tuttavia negare la serietà di quest’ultimo». Lecito quindi chiedersi se «l’atmosfera diffusa di insoddisfazione verso risultati e prestazioni, di pressione continua, di caccia all’errore, soprattutto quando le sfide richiedono più energia e il massimo coinvolgimento, sia il metodo migliore per il benessere e per i risultati».

La controprova che “alla gente piace lavorare” è nel grado di sintonia costantemente più basso degli intervistati con le affermazioni che esprimono un vissuto negativo del lavoro rispetto alle affermazioni positive come “il lavoro m’insegna ad affrontare situazioni complesse, mi tira fuori concentrazione ed energia, mi fa progredire”. Un buon punto di partenza, non solo per approfondire la ricerca ma anche per valutarne l’applicazione pratica dei risultati.

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