Vi è mai capitato di fruire di un’offerta «tutto incluso» e poi di trovare la sorpresa di un conto più alto? Non ingiuriosamente più alto, qualche soldo qui e là, che non cambia l’ordine di grandezza di quello che state spendendo, ma che produce il pensiero «e ti pareva» (o peggio) seguito inevitabilmente (se siete permalosi come me) dall’altro, ben più pericoloso per chi ci sta facendo pagare il servizio: qui non mi vedono (metaforicamente) più. Se vi è capitato, certamente ricordate che ciò che avete pagato era da qualche parte specificato come non incluso e voi non ci avete fatto caso, eccetera; insomma, formalmente ineccepibile e tutto perfettamente lecito.
Al contempo, rimane la sensazione che si sia approfittato della vostra buona fede, distrazione, pigrizia verso il reclamo, e da qui ci poniamo due domande per riflettere sul tema dell’integrità (una delle componenti della credibilità e quindi della fiducia): perché nel «tutto incluso» non viene incluso davvero tutto, anche alzando eventualmente il prezzo finale? Perché, avendo accettato ad esempio di pranzare per 25 euro, anche a fronte di un buon pranzo, se alla cassa diventano 30 reagiamo in quel modo, ovviamente dando per scontato - come nella realtà non bisogna mai fare - che quei 5 euro, percentuale sul totale a parte, non ci cambino significativamente la vita?
Usciamo subito dall’esempio della ristorazione, visto che il fenomeno è trasversale ai settori merceologici, e partiamo dalla risposta alla prima domanda: ci spinge a «non dire tutto» la convinzione che, se lo facessimo, perderemmo «l’affare». Che qualche volta è vero: qualcuno che sarebbe diventato cliente per 25 deciderà di non diventarlo per 30. E se usciamo dai settori merceologici e dalla vendita e consideriamo qualunque relazione umana, restando in campo professionale quante volte ci è capitato di sentirci dire come collaboratori (o dire noi stessi come capi) che una determinata attività da svolgere è una grande opportunità (sminuendo o trascurando qualche rovescio della medaglia?).
A giudicare da quanto l’espressione è ormai diventata nell’uso corrente ironico sinonimo di fregatura, direi che accade spesso. Il meccanismo è lo stesso: non siamo integri (non diciamo tutto) pensando che se lo facessimo diminuiremmo sensibilmente le probabilità di convincere e di ottenere il nostro risultato. Quindi preferiamo provare la persuasione, a costo di non raccontare tutto, offuscati dal breve termine. Se ragionassimo sul medio-lungo periodo, ci renderemmo conto che mettiamo a rischio la credibilità (che a lungo termine si chiama anche reputazione) e che prima o poi la pagheremo. E il ristoratore potrebbe anche non accorgersene (salvo vedere diminuire i clienti, chiedendosi magari il perché).
Mentre nel caso dei colleghi gli effetti si faranno sentire e vedere sicuramente: il primo, più immediato e scontato, è che le persone saranno diffidenti nei nostri confronti, rendendoci sempre più inefficaci nell’opera di persuasione (vissuta in modo guardingo come sinonimo di manipolazione). Il secondo è, più in generale, la diffusione di un clima di sospetto contagioso anche nei confronti di altre relazioni («fidarsi è bene, non fidarsi è meglio»).
Alcuni di noi (o molti, o tutti) preferiscono essere integri per scelta valoriale («io sono integro perché ci credo, non perché mi conviene!»). Come dice François Noudelmann in un recente saggio filosofico sulla menzogna, l’amore per la verità «corrisponde ad una idea morale e spirituale da ricevere un consenso immediato», ma sottolinea anche che «non sorprende l’entusiasmo che suscita la proclamazione del vero, anche se questo potrebbe essere affermato allo stesso modo da un bugiardo». L’aspetto da sottolineare allora è che, anche quando potremmo non essere spinti da motivi etico-morali, dal punto di vista pratico e comunicativo l’integrità potrebbe convenirci comunque, e lo vediamo chiaramente quando riusciamo a concentrarci sul giusto orizzonte temporale e valutare lucidamente cosa perdiamo in cambio del guadagno immediato.
Come uscirne? Facilissimo (a dirlo): vietato dire balle (e omettere pezzi importanti di verità). Che non significa improvvisamente svelare segreti aziendali, violare la privacy se richiesti, smettere di essere diplomatici o andare in giro ad offendere qualcuno perché indossa un maglione per noi orrendo (in fondo stiamo solo dicendo la verità); significa invece saper valutare quanto ci danneggia di meno perdere (forse) qualche opportunità immediata in cambio di una credibilità aumentata, rispetto al perdere (sicuramente) una serie di opportunità maggiori in futuro avendo compromesso credibilità e fiducia, che sono lunghe e difficili da costruire, ma molto facili da danneggiare, spesso irreparabilmente. E se non vi ho ancora convinto, allora fidatevi di me.
* Partner Newton S.p.A.
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