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Emporio Armani e Zegna, sfila l’eleganza discreta

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MILANO / GIORNO 1

Emporio Armani e Zegna, sfila l’eleganza discreta

Il movimento è in atto da alcune stagioni, ma a questo giro la conclamazione è definitiva, e si colloca subito in apertura di fashion week: il circo della moda, inteso come girandola fiammeggiante di varie assurdità, si è ormai spostato sui marciapiedi e a latere delle sfilate, perchè in passerella impera sobrietà. Da non confondere con understatement e normalità, sia chiaro. Qui si parla piuttosto di misura, dignità, modestia: caratteri affermativi e propositivi, non rinunciatari. Insuperato alfiere di questo punto di vista autenticamente progressivo è Stefano Pilati, che da Ermenegildo Zegna continuava a raccontare una storia di eleganza insieme concreta e rarefatta. Il suo è un linguaggio per forza di cose di nicchia, perchè tale è la sensibilità estetica che lo genera. Eppure non ha nulla di forzoso, men che mai di compiaciuto. La collezione è un viaggio intorno al tema della leggerezza, intesa come qualità della materia, del taglio e del colore. Tutto fluttua: è l’aria tra il corpo e le vesti a definire le forme. Le strutture sono presenti, ma come liquefatte. A colpire davvero, però, è il percorso cromatico dal nero denso e opaco - ma per assurdo luminoso - al bianco spiritualizzato e coriaceo, passando per la sedizione non allineata dei quadri madras distribuiti su cappottini e giacche: una disegnatura classica, difficile da maneggiare in leggerezza, che Pilati tratta con la levità di un acquerello.

Su una analoga linea di elegante purismo si muove Giorgio Armani - per la successione alla guida creativa del marchio, quando sarà, Pilati appare fin da ora come il vero e solo possibile erede - che in effetti si può a ragione considerare il padre fondatore e il miglior interprete della discrezione contemporanea. «Gli uomini non devono apparire per forza in maniera eclatante» dichiara Armani, in forma smagliante, dopo lo show di Emporio Armani. Una prova particolarmente a fuoco e felice, percorsa da una idea di sincretismo oriente/occidente che non è facile tentazione del folk o deriva dell’etnico, ma ricerca di una purezza vibrante, con l’anima. Lo show è una teoria di sottili variaziomi sul tema dell’abito morbido e del colore sommesso, in combinazioni ton sur ton. Unico accento di calcolata distonia, le scarpe incongrue perché, conclude King George con una risata «osare con gli accessori è concesso per uscire dalla drammaturgia del prestabilito».

Anche da Corneliani il tema è leggerezza, come sintetizzato dagli spolverini lunghi e aerei in nuance polverose, dai bermuda che sostituiscono i pantaloni sotto la giacca. Nelle auguste stanze di palazzo Litta si aggira un plotone di giovinetti imberbi e delicati, dignitosi e fieri nei loro pantaloni a vita alta, nelle t-shirt dall’appiombo fermo, nel tailoring senza peso.

Dolce & Gabbana sono portavoce di tutt’altro pensiero sullo stile maschile: esuberante, giocoso. Identico è invece l’interesse per il mix di mondi e culture, che poi altro non è se una espressione di globalismo, dal cuore eternamente siculo, perchè sull’isola il metissage si pratica da millenni. «Per questa collezione ci siamo ispirati ai decori della Palazzina Cinese nel giardino della Favorita a Palermo: una autentica gemma, nascosta in un luogo per noi magico». Tradotto in abiti, è tutto un brulicare di cineserie e preziosimi su suit di seta molli e facili come pigiami, di ricami sontuosi su jeans laceri, di stampe micro e macro per ogni dove. Perchè aprirsi all’esotismo vuol dire anche lasciar spazio al caso, alle contaminazioni che avvengono senza ragione apparente. Donatella Versace, ad esempio, si apre alla sabbia del deserto, allungando, alleggerendo e fluidificando fino a trovare un magico equilibrio tra ascesi e tensione muscolare.

Da Bikkembergs il bambù zen e i tagli atletici trovano un inatteso punto di incontro, mentre da Costume National sono rockers scheletrici e inesorabili in nero assoluto e lampi di rosso. Una vibrazione ska percorre l’ottima prova di Rodolfo Paglialunga per Jil Sander, fusione di purismo e utility dal tono positivamente duro e perverso, mentre il gran collage di estenuatezze, grafismi e torsioni subculturali di Andrea Pompilio ha un aspetto deliberatanente femmineo e non sempre convincente. Da Marni, in fine, è eclettismo - come da copione - con una energia nuova: spontanea, fresca, condensata in abiti reali e possibili, che è poi il plus assoluto di questo marchio capace di coniugare sperimentazione e commercio con raro equilibrio.

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