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Stilisti, continua il valzer dei soliti noti. E il talento viene…

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Stilisti, continua il valzer dei soliti noti. E il talento viene trascurato

  • –di Angelo Flaccavento

Il fashion system è in uno stato di agitazione permanente e malessere diffuso. Quella che era l’industria del bello e dei sogni – da acquistare e indossare, sia ben chiaro – è diventata da ultimo una macchina stritolante, bieca e becera nell’esigere il sacrosanto profitto subito e in debordante eccesso, con una rapacità che non ha nulla di umano perché riduce i creativi in dorata schiavitù, come polli in batteria o oche da paté. In una simile congerie, il logorio è norma. Ecco allora che saltano le teste – di direttori creativi come di amministratori delegati, in genere dopo i tre anni canonici di durata del contratto – quando non sono gli stessi interessati a farsi saltare per aria anzitempo.

Da che, alla fine dello scorso anno, il coraggioso Raf Simons ha abbandonato sua sponte la direzione artistica della maison Dior, adducendo motivazioni personali – va anche detto che il matrimonio estetico tra il lessico Dior e Raf, modernista algido, non si è mai consumato appieno – è stato tutto un susseguirsi di cambi al vertice. Alber Elbaz è stato allontanato bruscamente da Lanvin, maison che aveva praticamente risollevato dalla polvere quattordici anni prima. Via Stefano Pilati da Zegna, sostituito dal capace Alessandro Sartori che però lascia vacante il timone da Berluti. Fine dell’idillio anche tra Brioni e il magnifico Brendan Mullane, sostituito giusto due settimane fa con l’improbabile Justin O’Shea, buyer famoso sul web per i look da duro sartoriale ma privo del professionismo richiesto da cotanto baluardo di sprezzante savoir faire italiano. Nel mentre da Lanvin è arrivata Bouchra Jarrar, sottile e inventiva quanto fredda nell’enunciato. Poi è venuta l’incredibile separazione tra Massimiliano Giornetti e Ferragamo, dopo un decennio buono di armonia nel nome dell’eleganza eclettica. Infine, il primo aprile – tempismo mefistofelico – la separazione consensuale tra Hedi Slimane e Saint-Laurent, cui è seguito l’annuncio del rimpiazzo nella figura del pallido Anthony Vaccarello. Dior, intanto, rimane senza leader – il team attivo ad interim non pare all’altezza – e così Berluti.

Ma cosa porta e cosa comporta tanta instabilità? Mutevolezza e confusione estetica, tanto poi si vendono accessori, cosmetici e profumi. I contratti, invece, si sciolgono per risultati non raggiunti – non è certo il caso di Slimane – o per disaccordi sull’ammontare dello stipendio? Impossibile sapere. Parlano le scelte: web influencer a parte, avanzano i designer di prodotto come Vaccarello, che succedono a curatori di immaginario come Slimane. La strategia appare pragmatica, ma priva dell’ampio respiro che costruisce aura. Anche Slimane era un merchandiser, ma dalle prospettive immaginifiche. Adesso, invece, si assiste al ridimensionamento, anche se è presto per dire.

Il problema piuttosto è che i nomi in ballo sono sempre gli stessi. Perché nessuno si ricorda del valente Aldo Maria Camillo, ad esempio? Perché si continuano a glorificare i furbi buoni solo a far parlare di sé? Trascurare il talento vero è un gesto criminale che alla lunga si ritorcerà contro. Le speranze adesso sono in Sartori, nella pur valida Jarrar, in qualche sconosciuto ancora nascosto tra i ranghi.

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