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Dossier Negli Usa il lusso punta al «social» e a meno punti vendita

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    Dossier | N. 21 articoliImpresaSocial

    Negli Usa il lusso punta al «social» e a meno punti vendita

    Capaci di ammettere errori strategici e di rialzarsi dopo qualsiasi tipo di caduta. Aperti al cambiamento per definizione, da sempre e in ogni campo, con quel giusto mix di coraggio, sfrontatezza e assenza di paura del futuro. Primi ad abbracciare la rivoluzione tecnologica. Anzi: ad avviarla e cavalcarla, tanto che gli unici siti a poter insediare la loro leadership sono i cinesi. È così che in molti descrivono – a ragione – gli americani e lo spirito con il quale affrontano la vita. E il business. Eppure quello che sta succedendo a brand e società come Ralph Lauren, Michael Kors e Coach e a catene come Macy’s, dimostra quanto sia profondo il cambiamento in atto nel mondo della moda e del lusso. Non è solo questione di consumi o andamenti in Borsa (si veda Il Sole 24 Ore di ieri per le semestrali del settore e per quelle dei colossi dell’e-commerce Alibaba, cinese, e Zalando, tedesco). La crisi in cui versano i grandi marchi americani ha più di un motivo e non esiste un’unica soluzione. Nel caso di Ralph Lauren, ad esempio, al calo delle vendite negli Stati Uniti e non solo, si aggiunge il problema della successione: è stato solo nel novembre scorso che il fondatore, 77 anni in ottobre, ha deciso di cedere il ruolo di Chief executive officer allo svedese Stefan Larson, tenendo però per sé le cariche di presidente e Chief creative officer.

    In pochi mesi il manager – che arriva dal colosso del casualwear Gap – ha delineato la sua strategia e in giugno ha presentato agli analisti di Wall Street Way Forward (la strada per il futuro), un business plan che prevede, oltre alla spending review, cambiamenti della distribuzione, maggiori investimenti in tecnologia e il taglio di almeno mille posti di lavoro. Piano apprezzato dal mercato: dopo i dati del primo trimestre fiscale (aprile-giugno) dell’esercizio fiscale 2016-2017, presentati mercoledì scorso, all’apertura degli scambi al Nyse il titolo è salito del 10%, dopo aver perso il 15% dall’inizio dell’anno e metà della sua capitalizzazione dall’agosto 2013. Il motivo? Sono state battute le stime degli analisti. Il fatturato netto di Ralph Lauren è diminuito del 4% rispetto allo stesso trimestre dell’esercizio 2015-2016, arrivando a 1,6 miliardi di dollari, mentre i profitti si sono attestati a 1,06 dollari per azione, a fronte di una previsione di 0,89 dollari. Nel secondo trimestre le cose potrebbero migliorare, grazie al turn around innescato dall’arrivo di Larson, che comporterà – ha sottolineato il Ceo – costi straordinari, nell’intero esercizio, di 550 milioni di dollari, 154 dei quali già iscritti a bilancio nella trimestrale appena pubblicata. Misure drastiche, che si aggiungono all’annuncio di razionalizzare la rete di negozi monomarca e di limitare la distribuzione nei department store. Analoga decisione, quella sul canale wholesale, annunciata a inizio settimana da Coach e Michael Kors, che ridurranno del 25% le vendite ai department store. E ieri Macy’s , altra istituzione americana, cosa ha fatto? Ha annunciato l’imminente chiusura di circa cento dei suoi quasi 700 punti vendita.

    Nel resto dell’esercizio potrebbero essere le Olimpiadi a spingere Ralph Lauren, sponsor della nazionale Usa: Forbes ha ricordato le esperienze di Atene 2004 (dalla cerimonia di apertura alla fine dell’anno il titolo guadagnò il 27%) e di Londra 2012 (le azioni salirono del 3,3% e il trend positivo continuò nei primi mesi del 2013).

    Anche la trimestrale di Michael Kors ha battuto le stime degli analisti, con un eps di 0,88 dollari contro una previsione di 0,74. Ma, come per Ralph Lauren, il fatturato è calato, a parità di superficie di vendita, di oltre il 4% e la crescita complessiva a 987,9 milioni è legata alle nuove aperture in Europa e Asia. A pesare per tutto l’esercizio sarà il dollaro forte, il calo dei flussi turistici verso gli Stati Uniti, oltre al cambio di gusti dei Millennials (i nati dopo il 1980), che spendono meno in abbigliamento delle precedenti generazioni. Da qui il profit warning che, a differenza di Ralph Lauren, ha fatto calare il titolo Michael Kors. Situazione molto simile per Coach: l’utile del trimestre è cresciuto superando le attese (0,45 anziché 0,41), ma per l’intero esercizio si prevede un calo di fatturato e redditività.

    La strada è dunque obbligata: da una parte occorre concentrarsi sul taglio nel mondo fisico (i negozi di proprietà hanno costi fissi esorbitanti mentre la distribuzione wholesale comprime i margini e diluisce il valore del brand), dall’altra devono aumentare gli investimenti su internet, per potenziare l’e-commerce, le strategie omni channel e l’utilizzo dei social media come strumento di comunicazione, soprattutto per i Millennials.

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