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Lusso, sempre più green la filiera del gruppo Kering

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la catena di fornitori

Lusso, sempre più green la filiera del gruppo Kering

Ci vogliono cinque parole italiane – o di qualsiasi altra lingua – per tradurre l’espressione africana ubuntu, che significa “io sono perché noi siamo”. Sei lettere che aprono un mondo e sono forse il modo migliore per dare un vero significato ai concetti di sostenibilità, corporate social responsability (Csr) ed economia circolare. Il gruppo Kering ha scelto in realtà di chiamare il suo progetto “Clean byDesign”, ma come sottotitolo ubuntu andrebbe benissimo. Kering ha impostato il suo impegno per l’ecostenibilità come progetto corale, che impegni non solo le numerose aziende del gruppo, ma i fornitori delle “microfiliere” che ruotano attorno al colosso francese, secondo al mondo nel settore del lusso.

«Abbiamo promosso il programma Clean by Design (Cbd) sulla base dell’esperienza del National Resource Defense Council (Nrdc), la più grande organizzazione per la difesa dell’ambiente degli Stati Uniti – spiega Géraldine Vallejo, Sustainability programme director di Kering –. I nostri fornitori sono prevalentemente in Italia: a partire dal 2014 abbiamo coinvolto tintorie, tessiture, stamperie e lanifici. Le aziende sono state sottoposte a un audit per analizzare processi e consumi, necessario a capire come migliorare l’efficienza nell’uso dell’energia e delle risorse».

Alla fine del 2016, cioè a un anno dalla formalizzazione dell’impegno a intraprendere il piano d’azione scaturito dall’audit, le 24 aziende avevano complessivamente avviato 127 azioni di efficientamento (tra grandi interventi impiantistici e misure manutentive e organizzative). Da sole queste azioni permettono di evitare emissioni di CO2 in atmosfera pari a oltre 3.700 tonnellate all’anno, ovvero il 5,7% rispetto ai valori precedenti all’audit, con una riduzione media delle emissioni per impianto dell’11,5%.

«Per Kering è molto importante il dialogo con i fornitori: non avrebbe senso imporre dall’alto piani d’azione – aggiunge Géraldine Vallejo–. Siamo molto contenti quindi che i primi dati indichino una maggiore efficacia del programma su impianti di dimensioni minori. Certo, si tratta di aziende in cui i margini di miglioramento erano più alti, ma è un fatto che hanno risposto con maggiore rapidità e determinazione agli stimoli che abbiamo dato».

«Il gruppo Kering è stato sicuramente un pioniere nel proporre ai suoi fornitori un progetto come Clean by Design – spiegano da una delle imprese italiane coinvolte (per policy aziendale i singoli nomi non possono essere citati). Il programma può essere un esempio non solo per la filiera, ma per gli altri brand della moda». Un punto importante è quello della certificazione e della comunicazione con i consumatori: la disparità di impegno nei confronti del tema ambientale può essere molto ampia e penalizza le aziende che più si impegnano e investono, con evidente aggravio dei costi e /o riduzione dei margini. Clean by Design non si ferma, ovviamente. Gli interventi sui vari impianti proseguiranno e si prevede che alla fine del 2017 il risultato del programma sarà di 8.700 tonnellate all’anno di emissioni di CO2 evitate attraverso più di 150 azioni, pari al 12% del totale (una media del 19% per impianto). «Nel 2018 le emissioni evitate verranno più che raddoppiate – conclude Géraldine Vallejo –. Tra un anno sarà dunque possibile tracciare un bilancio più completo sulle opportunità di efficientamento, la loro realizzazione e i risultati ottenuti. Quello che si può già dire è che il percorso verso un settore tessile più sostenibile è iniziato e che le opportunità di miglioramento per le aziende sono tante, realizzabili abbastanza semplicemente e sostenibili economicamente».

E se lo dice un gruppo che ha chiuso il primo trimestre con ricavi in crescita del 31,2% a 3,57 miliardi c’è da crederci.

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