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Amazon all’assalto della moda: con le sue private label lancia la sfida ai big

Se ci sono voluti pochi microsecondi per far nascere l’Universo, ad Amazon sono bastati due anni per lanciare ben 80 “private label”, vale a dire marchi di sua proprietà realizzati da terzi. Da mero canale di vendita, dunque, il gruppo di Jeff Bezos si sta trasformando in creatore di marchi e di prodotti. Soprattutto di moda.

Facciamo un passo indietro: era il 2012 quando Bezos capì che l’abbigliamento sarebbe stato cruciale per il suo business e creò pertanto la divisione Fashion, per promuovere le vendite di brand più o meno noti. Poi, se da una parte molti big - per non parlare dei marchi del segmento lusso - si sono tenuti alla larga da Amazon, con le loro ricerche i clienti continuavano a fornire ad Amazon un patrimonio di dati e desideri: studiando le queries, e incrociandole con i vuoti di offerta lasciati dai big, Amazon ha compreso le potenzialità di offrire delle collezioni “data driven” e nel 2016 ha lanciato la divisione Fashion Private Label. Che oggi è il cuore di un nuovo Big Ben.

Secondo il report “Amazon: Private Label” di L2, società di ricerca di New York, fra 2014 e 2016 sono state lanciate 11 private label in totale (dunque anche di elettronica e food), di cui sei di moda. Ma fra 2017 e fine marzo 2018 (periodo al quale il report limita la sua analisi) ne sono stati lanciati 66, di cui ben 63 nel segmento fashion. Oggi, delle 80 private label di Amazon, 69 sono di abbigliamento e accessori: 41 per donna, 13 per uomo, 6 per bambino, 9 unisex. E il laboratorio di ricerca e sviluppo è costantemente al lavoro: nel giro di un mese, per esempio, sono stati chiusi due marchi e lanciati altri tre, uno di camicie hawaiane per uomo (28Palms) e due casualwear per donna. L’obiettivo è soddisfare tutte le richieste, con marchi dedicati solo a lingerie o leggins, calzini, borse, scarpe classiche o per lo sport, per ogni necessità, occasione, età, taglia (il marchio Find., uno dei tre per ora disponibili in Italia, copre dalla XS alla XXXL) e stagione.

«Amazon continuerà a lanciare e chiudere marchi - spiega Cooper Smith, direttore delle ricerche su Amazon di L2 -. Molti dei brand nati negli ultimi 18 mesi hanno un assortimento limitato, il che vuol dire che si sperimenta molto, lanciando più idee insieme per mantenere poi solo quelle che funzionano».

Anche grazie a questo continuo work in progress, i ricavi delle vendite di abbigliamento su Amazon potrebbero toccare gli 85 miliardi di dollari entro il 2020, secondo le stime della società di ricerca Instinet, generando il 10-20% dei ricavi totali del gruppo. Nel 2018, aggiunge Morgan Stanley, Amazon potrebbe diventare il primo retailer di abbigliamento negli Stati Uniti, superando Walmart.

Un successo che sarà sostenuto dal superamento del problema dei resi, anche grazie a tecnologie di body scanning sempre più avanzate. Lo scorso ottobre Amazon ha rilevato Body Labs, start up che elabora modelli di 3d dei corpi umani, inaugurando contestualmente una nuova divisione dedicata a questi temi: «L’obiettivo finale di Amazon è predire con perfetta accuratezza quali prodotti i consumatori vogliono e quando ne hanno bisogno - prosegue Smith -. L’intelligenza artificiale sarà cruciale in questo senso, grazie a sistemi come Alexa che raccolgono costantemente i dati di chi fa shopping, arrivando a conoscere perfettamente il suo comportamento».

Alexa, peraltro (ancora non disponibile in Italia) è anche il sistema su cui si basa Echo Look, il nuovo device con fotocamera integrata che dà consigli di stile ai clienti di Amazon. Intanto, negli Stati Uniti sta per essere esteso il servizio Prime Wardrobe, un try before you buy (“provalo prima di comprarlo”).

I big della moda che finora hanno snobbato Amazon devono iniziare a temerla? Peraltro, secondo Smith, «anche se la maggior parte dei ricavi deriva da marchi basic, non è escluso che in futuro possa lanciare brand di segmento più alto». Un punto di contatto si potrebbe trovare, paradossalmente, nei negozi fisici, avvantaggiando quei brand che cercano un avanzamento dell’esperienza in store: i pop up inaugurati a fine 2017 con Calvin Klein, con la tecnologia integrata e i servizi “prime” di Amazon, sono stati un successo. In un’intervista nel 2011, Bezos disse: «Ci piacciono cose che funzioneranno entro 5-7 anni». I frutti del primo ciclo di investimenti nella moda sembrano essere stati raccolti. I prossimi, forse, li troveremo nelle boutique.

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