Hanno ereditato un mondo afflitto da problemi come il riscaldamento globale e lo sfruttamento della manodopera a basso costo.
Con l’Earth Overshoot day, il giorno in cui la Terra “esaurisce” le proprie risorse a disposizione per l’anno, che nel 2018
è arrivato addirittura il 1° agosto. E, forse proprio per questo, vedono la sostenibilità come un tema chiave anche quando
si deve scegliere cosa indossare. I custodi di questa visione green della moda sono i Millennials e la Generazione Z. Che,
secondo la terza edizione dell'Osservatorio PwC Millennials vs Generation Z (2018), presentata ieri nel corso del Milano Fashion Global Summit, fanno della qualità uno dei presupposti all'acquisto - con sei persone su 10 che desiderano che i capi e gli accessori acquistati
siano di qualità – e preferiscono acquistare prodotti sostenibili (37%) con la volontà (non tutti, ma molti) di spendere di più per comprare un prodotto responsabile.
L'Osservatorio Pwc– basato su un campione di 2424 intervistati, di cui il 39% nati tra il 1980 e i 1994 (Millennials) e il
63% nati tra il 1995 e il 2010 (Generation Z) – evidenzia che sono proprio i più giovani ad essere disposti a fronteggiare
un cartellino maggiorato per un prodotto responsabile verso l'ambiente e le persone: il 22% degli intervistati della Generazione
Z spenderebbero il 5% in più per acquistare accessori sostenibili, mentre il 17% arriverebbe ad aumentare la spesa del 10
per cento. Percentuali simili (21%; 15%) per quanto riguarda l'abbigliamento. Più frenati economicamente i Millennials: “solo”
il 12% aggiungerebbe il 10% al prezzo del capo per averlo sostenibile.
Le reazioni degli under 38 sono uno degli indicatori cui le aziende di moda devono fare attenzione per sviluppare una strategia
efficace sul lungo periodo. Del resto, oggi i giovani rappresentano il 30% dei compratori del lusso e da qui al 2025 arriveranno
a coprire oltre il 45% degli acquisti (Stime Bain&Co.-Altagamma). Non solo: come rilevato da Merrill Lynch nel suo “2018 U.S
Trust Wealth and Worth Survey”, citato sempre durante il Milano Fashion Global Summit di Class Editori, continua a crescere la quota dei Millennials che ha investito in una società (non solo del settore moda, ma a livello complessivo) impegnata sul fronte della sostenibilità: tra il 2015, quando era il 17%, e il 2018 è più che raddoppiata, toccando il 37 per cento. In calo, di contro, la quota
aspirazionale: oggi il 40% dei Millennials vorrebbe investire in un'azienda sostenibile, contro il 52% del 2017. Nei prossimi
decenni, stima Merrill Lynch, le risorse che verranno potenzialmente iniettate nelle aziende con un alto livello di Environmental, social & governance (Esg) factors oscillerà tra i 15 e i 20 triliardi di dollari. Secondo il report della banca d'investimento americana, le aziende (americane) non hanno compreso questa opportunità: il
50% degli intervistati ritiene che i possibili investitori interessati ai fattori ecologici e sociali siano tra l'1 e il 5%
e sempre la metà delle aziende campione non ha dipendenti “dedicati” ad attività legate alla sostenibilità.
Ben diverso è l'approccio delle imprese italiane, specialmente quelle del settore moda, per cui la sostenibilità è un tema chiave. Anche sul piano del business. «Produciamo il 41% lordo della moda europea: dobbiamo essere responsabili – spiega il presidente di Camera Moda Carlo Capasa – e continuare a impegnarci per ridurre l'impatto della filiera, aumentando la qualità dei nostri prodotti e facendo ricerca, e ridurre i lavoratori irregolari del settore che oggi sono 45mila, ma sono già calati del 16% in pochi anni.
A fargli eco, sul palco del Summit, è stata Marie-Claire Daveu, Chief sustainability officer and head of international institutional affairs del gruppo Kering, al quale fanno capo marchi italiani come Gucci e Bottega Veneta: «La sostenibilità è il core della strategia del Gruppo
sia dal punto di vista etico sia da quello del business perché spinge all'efficienza, all'innovazione nei processi produttivi
e alla ricerca. Entro il 2025 puntiamo a ridurre del 40% la nostra impronta ambientale coinvolgendo tutta la filiera, che
ha un impatto del 93% su questa environmental footprint , e i consumatori che oggi sono i primi a informarci, per esempio,
sull'origine dei nostri pellami o sul welfare degli animali».
Filiera e consumatore sono due elementi chiave di questa “trasformazione”: «Dobbiamo far ragionare le aziende a valle sull'importanza del valore aggiunto che l'approccio sostenibile dà anche al semilavorato – spiega Claudio Marenzi, presidente di Confindustria Moda e imprenditore con Herno – perché il nostro obiettivo è quello di rendere pulita tutta la catena di produzione di un capo». A sottolineare il ruolo del consumatore è Michele Norsa, manager di lungo corso nel settore lusso e partner del Fondo strategico italiano (che di recente ha investito in Missoni) e vicepresidente della società di Sumirago (Va): « l consumatore deve essere educato a spendere di più per avere prodotti più sostenibili, proprio come accade nell'alimentare con i prodotti biologici». Qualcuno pronto a recepire il messaggio, o che in parte l'ha già fatto, c'è.
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